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82 pensieri (1313-1314-1315)



*    Chi vuol persuadersi dell’immensa moltiplicità di stili e quasi lingue diverse rinchiuse nella lingua italiana, consideri le opere di Daniello Bartoli, meglio del quale niuno conobbe i piú riposti segreti della nostra lingua (Monti, Proposta, vol. I, par.1, p. XIII).  (1314) Un uomo consumato negli studi della nostra favella, il quale per la prima volta prenda a leggere questo scrittore, resta attonito e spaventato, e laddove stimava d’essere alla fine del cammino negli studi sopraddetti, comincia a credere di non essere a mala pena al mezzo. Ed io posso dire per esperienza che la lettura del Bartoli, fatta da me dopo bastevole notizia degli scrittori italiani d’ogni sorta e d’ogni stile, fa disperare di conoscer mai pienamente le forze e la infinita varietà delle forme e sembianze che la lingua italiana può assumere. Vi trovate in una lingua nuova, locuzioni e parole e forme delle quali non avevate mai sospettato, benché le riconosciate ora per bellissime e italianissime; efficacia ed evidenza tale di espressione che alle volte disgrada lo stesso Dante, e vince, non solo la facoltà di qualunque altro scrittore antico o moderno di qualsivoglia lingua, ma la stessa opinione delle possibili forze della favella. E tutta questa novità non è già novità che non s’intenda, ché questo non sarebbe pregio ma vizio sommo e non farebbe vergogna al lettore ma allo scrittore. Tutto s’intende benissimo e tutto è nuovo e diverso dal consueto:  (1315) ella è lingua e stile italianissimo, e pure è tutt’altra lingua e stile; e il lettore si maraviglia d’intender bene e perfettamente gustare una lingua che non ha mai sentita, ovvero di parlare una lingua che si esprime in quel modo a lui sconosciuto e però ben inteso. Tale è l’immensità e la varietà della lingua italiana, facoltà che pochi osservano e pochi sentono fra gli stessi italiani piú dotti nella loro lingua; facoltà che gli stranieri difficilmente potranno mai conoscere pienamente, e quindi confessare (13 luglio 1821).