zo, da arma, da poeta o poetare, da verso, schiaffeggiare, vezzeggiare, armeggiare, poeteggiare, verseggiare (e cosí da vano o vanare vaneggiare, e pargoleggiare e spalleggiare ec. e da favore, come favorare e favorire, cosí favoreggiare); in icciare, come da arso arsicciare; in icchiare, come da canto canticchiare; in ellare, come da salto saltellare; in erellare, come pur da salto salterellare e da canto canterellare; in olare, come da spruzzo spruzzolare, da vòlto voltolare, da rotare, rinfocare, rotolare, rinfocolare, da giuocare, giuocolare, da muggire o mugghiare, mugolare, muggiolare, mugiolare; in igginare, come da piovere piovvigginare; in uzzare, come da taglio tagliuzzare; in acchiare come da foro foracchiare; in ecchiare, come da morso, roso, sonno morsecchiare, rosecchiare, sonnecchiare (e cosí punzecchiare, che anche si dice punzellare); in azzare, come da scorrere scorrazzare, da volare svolazzare; in eare, come da ruota o rotare roteare (che la Crusca chiama V. A. non so perchè), alla spagnuola rodear, blanquear cioè biancheggiare e imbiancare ec.; in ucchiare come da bacio baciucchiare; in onzare, come da ballo ballonzare; ed in altri modi ancora, che neppur qui finisce il novero, senza contare i sopraffrequentativi o sopraddiminutivi, come ballonzolare, sminuzzolare ec. ec., ovvero diminutivi de’ frequentativi, o viceversa. E queste e le altre formazioni sono di significato certo, determinato, riconosciuto, convenuto e costante, in modo che, vedendo una tal formazione e conoscendo il significato della voce originaria, s’intende subito la modificazione, che detta parola formata esprime, dell’idea espressa dalla parola materna. La pazza idea per tanto (ch’é l’ultimo eccesso della pedanteria) di voler proibire la formazione di nuovi derivati, è lo stesso che seccare una delle principali e piú proprie ed innate sorgenti della ricchezza di nostra lingua. Vedi (1242) in questo proposito p. 1116-17. Io non dubito (e l’esempio portato lo conferma) che