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(1796-1797-1798) | pensieri | 373 |
della bellezza o bruttezza umana o qualunque, se non considerando ben bene come gli uomini (o qualunque oggetto fisico o morale) son fatti. E quindi la bellezza o bruttezza non dipende che dal puro modo di essere di quel tal genere di cose; il qual modo non si conosce per idea innata, ma per la sola esperienza, e non si conosce bene, se non vi si unisce l’attenzione o volontaria o spontanea ed abituale (26 settembre 1821).
* Sul proposito che una lingua nuova non s’impara se non per mezzo della propria, osservate che noi siamo soliti a misurare la regolarità o irregolarità di una lingua, tanto in genere quanto in ordine a ciascuna costruzione, frase ec., dalla conformità ch’essa lingua ha colla lingua nostra e sue frasi ec. Onde ci sembra regolare, non ciò che lo è per natura e ragione analitica, ma ciò che corrisponde esattamente alla maniera della nostra lingua, (1797) ed a quell’ordine di espressioni e d’idee e di segni al quale siamo abituati. E cosí proporzionatamente fino all’irregolarità, la quale, benché sia regolarissima, ci pare generalmente irregolare quando discorda dall’ordine abituale della nostra loquela. Applicate queste osservazioni: 1°, al proposito dei francesi incapaci di ben conoscere un’altra lingua e giudicarla; e degl’italiani, capacissimi, perché la loro lingua si presta, quanto è possibile fra le moderne, ad ogni maniera di favellare; 2°, alla debolezza e moltiplicità della ragione umana, alla mancanza di tipo universale per lei, all’influenza che su di essa esercita l’assuefazione.
Quindi è che, per esempio, agl’italiani dee parer la lingua piú regolare del mondo la spagnuola; ai moderni, e massime ai francesi, dee parere irregolarissima e figuratissima ogni lingua antica, e massime la latina. Agli antichi (e proporzionatamente agl’italiani) non pareva certo cosí ec. ec. ec. (1798) (26 settembre 1821).