Pagina:Zibaldone di pensieri III.djvu/316

302 pensieri (1672-1673-1674)

e lo sarebbero parimente altri poemi di forme affatto diverse, purché si contenessero ne’ confini della natura. I generi ponno essere infiniti, e ciascun genere,  (1673) da che è genere, è regolare, fosse anche composto di un solo individuo. Un individuo non può essere irregolare se non rispetto al suo genere o specie. Quando egli forma genere, non si dà irregolarità per lui. Anche dentro uno stesso genere, come l’epico, si danno mille specie ed anche mille differenze di forme individuali. Qual divario dall’Iliade all’Odissea, dall’una e l’altra all’Eneide! Pur tutti questi si chiamano poemi epici, e potrebbero anche non chiamarsi. Anzi si potrebbe dire che se l’Iliade è poema epico, l’Eneide non lo è, o viceversa. Tutto è quistione di nomi, e le regole non dipendono se non dal modo in cui la cosa è; non esistono prima della cosa, ma nascono con lei o da lei (11 settembre 1821).


*   L’uomo inesperto del mondo, come il giovane ec. sopravvenuto da qualche disgrazia o corporale o qualunque, dov’egli non abbia alcuna colpa, non pensa neppure che ciò debba essere agli altri oggetto di riso sul suo conto, di fuggirlo, di spregiarlo,  (1674) di odiarlo, di schernirlo. Anzi, se egli concepisce verun pensiero intorno agli altri, relativamente alla sua disgrazia, non se ne promette altro che compassione ed anche premura o almen desiderio di giovarlo; insomma non li considera se non come oggetti di consolazione e di speranza per lui; tanto che talvolta arriva per questa parte a godere in certo modo della sua sventura. Tale è il dettame della natura. Quanto è diverso il fatto! Anche le persone le piú sperimentate ne’ primi momenti di una disgrazia sono soggette a cadere in questo errore e in questa speranza, almeno confusa e lontana. Non par possibile all’uomo che una sventura non meritata gli debba nuocere presso i suoi simili, nell’opinione, nell’affetto ec., ma