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248 pensieri (1584-1585-1586)

bene spesso che sotto queste forme. Ecco come la sensibilità e l’energia delle facoltà dell’anima sia compagna della scontentezza e del desiderio, e quindi dell’infelicità, specialmente quando nulla corrisponde all’attività interna, come risulta dalla mia teoria del piacere e dagli altri pensieri che la riguardano (29 agosto 1821).


*    On peut plaider pour la vie, et il y a cependant assez de bien à dire de la mort, ou de ce qui lui ressemble (Corinne, t.  (1585) II, p. 335). Dalla mia teoria del piacere (vedi anche il pensiero precedente e la p. 1580-'81') risulta che infatti, stante l’amor proprio, non conviene alla felicità possibile dell’uomo se non che uno stato o di piena vita o di piena morte. O conviene ch’egli e le sue facoltà dell’animo sieno occupate da un torpore da una noncuranza attuale o abituale, che sopisca e quasi estingua ogni desiderio, ogni speranza, ogni timore, o che le dette facoltà e le dette passioni sieno distratte, esaltate, rese capaci di vivissimamente e quasi pienamente occupare, dall’attività, dall’energia della vita, dall’entusiasmo, da illusioni forti e da cose esterne che in qualche modo le realizzino. Uno stato di mezzo fra questi due è necessariamente infelicissimo, cioè il desiderio vivo, l’amor proprio ardente, senza nessun’attività, nessun pascolo alla vita e all’entusiasmo. Questo però è lo stato piú comune degli uomini. Il vecchio potrà talvolta trovarsi nel primo stato, ma non sempre. Il giovane vorrebbe sempre trovarsi nel secondo, e oggidí si trova quasi sempre nel terzo. Cosí dico proporzionatamente dell’uomo di mezza età. Dal che segue:  (1586) 1°, che il giovane senz’attività, il giovane domo e prostrato e incatenato dalle sventure ec., è nello stato precisamente il piú infelice possibile; 2°, che l’amor proprio non potendo mai veramente estinguersi, e i desiderii pertanto esistendo sempre