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206 | pensieri | (1515-1516-1517) |
meno importante, si potrà forse riuscire: ma nell’indole, ch’é il tutto, è impossibile, se ciascheduna nazione non ripiglia il suo proprio costume e carattere; e se noi italiani massimamente (che siamo piú soggetti all’influenza, e a pigliar l’impronta straniera, perché non siamo nazione e non possiamo piú dar forma altrui) non torniamo italiani. Il che dovremmo pur fare: e coloro che ci gridano, parlate italiano, ci gridano in somma siate italiani; che se tali non saremo, parleremo sempre forestiero e barbaro. Ma, non essendo nazione, e perdendo il carattere nazionale, quali svantaggi derivino alla società tutta intera l’ho spiegato diffusamente altre volte.
Questa influenza del costume e del carattere di una nazione sopra le altre civili, (1516) nessuna, dopo il risorgimento della civiltà, l’ebbe piú stabilmente della francese. L’ebbero però anche altre, come l’Italia e la Spagna (e l’Inghilterra ultimamente), ma per cagioni meno efficaci o salde, e però fu meno durevole. Ma in proporzione della sua forza fu sempre ugualmente compagna dell’influenza sulle lingue. Ne’ passati secoli però queste due influenze non potevano esser grandissime; 1o, pel minor grado e strettezza di relazioni scambievoli in cui erano le nazioni; 2o, per la minor suscettibilità che queste avevano a perdere piú che tanto del loro carattere e ricevere l’impronta straniera e conservarla piú che tanto tempo ec. E ne avevan poca, perché appunto non vi erano avvezze; e come è necessaria l’assuefazione particolare a far che tal nazione pigli tal carattere straniero; cosí è necessarissima l’assuefazione e disposizione generale a far ch’ella possa ricevere profondamente e conservare radicatamente un nuovo carattere. Giacché tutto è assuefazione, sí nei popoli come negl’individui. Ma in que’ tempi la civiltà non era ancora in grado sufficiente a vincere (1517) le diverse nature de’ popoli, e le particolari abitudini e le tenacità ordinarie ec., né a con-