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(1489-1490-1491) | pensieri | 191 |
Veniamo ai rimedi. Voler richiamare le parole ai loro antichi precisi significati e tornarli a distinguere e usarle nel senso antico ec., tuttociò è tanto impossibile e pedantesco, quanto il rimettere in uso le parole e modi antiquati e parlare come parlavano i latini o i nostri primi italiani ec. Quelli che hanno preso cura, scrivendo partitamente dei sinonimi, di precisare (1490) il valore di ciascun vocabolo partecipante al significato di altri vocaboli, hanno piuttosto servito e servono alla filosofia, alla storia delle lingue, e a molte altre cose utilissime, di quello che all’uso e alla conservazione de’ significati ed alla osservanza dell’etimologie ec., insomma ad impedire la confusione de’ significati e l’abolizione successiva delle loro piccole differenze, che l’abuso e il tempo non può non cagionare e non cagionerà niente meno. Forze di questa fatta non ponno esser vinte da un’opera, o da un dizionario ec.
Il rimedio dunque agl’inconvenienti del tempo che nuoce alle lingue e necessita la novità delle parole, non meno coll’abolirne assai che col sopprimerne le differenze de’ significati e restringere il numero di essi, è l’adottar nuove parole che esprimano quelle cose o patti o differenze di cose ch’erano espresse da voci divenute sinonime e conformi di valore ad altre primitivamente diverse. E se, come ho detto di trentamila parole latine passate nell’italiano, (1491) non restano che diecimila significati, a voler che la lingua italiana adegui veramente la ricchezza della madre, in ordine a questa medesima parte di essa, bisogna ch’ella trovi altre ventimila parole che abbiano i i detti significati perduti. Ed allora ella, vincendo la latina nella copia de’ sinonimi e nella varietà, nell’eleganza ec., che risulta da essi, l’agguaglierà pure nella vera ricchezza e varietà; e la sinonimia non pregiudicherà alla proprietà ec. del discorso.
Diranno che questo la lingua italiana l’ha già