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88 | pensieri | (1322-1323-1324) |
descritti festivamente da (1323) Marmontel, e soverchianti quelli d’ogni bellezza perfetta: vedi p. 1327, fine. Se osserveremo bene in che cosa consista l’eleganza delle scritture, l’eleganza di una parola, di un modo ec., vedremo ch’ella sempre consiste in un piccolo irregolare o in un piccolo straordinario o nuovo, che non distrugge punto il regolare e il conveniente dello stile o della lingua, anzi gli dà risalto, e risalta esso stesso; e ci sorprende che, risaltando ed essendo non ordinario o fuor della regola, non disconvenga; e questa sorpresa cagiona il piacere e il senso dell’eleganza e della grazia delle scritture (qui discorrete degl’idiotismi ec. ec). Il pellegrino delle voci o dei modi, se è eccessivamente pellegrino o eccessivo per frequenza ec., distrugge l’ordine, la regola, la convenienza, ed è fonte di bruttezza. Nel caso contrario è fonte di eleganza, in modo che, se osserverete lo stile di Virgilio o di Orazio, modelli di eleganza a tutti secoli, vedrete che l’eleganza loro principalissimamente e generalmente consiste nel pellegrino dei modi e delle voci o delle loro applicazioni a quel tal uso, luogo, significazione, nel pellegrino delle metafore ec. Cominciando (1324) dal primo verso sino all’ultimo potrete far sempre la stessa osservazione.
E ciò è tanto vero, che se quella cosa pellegrina, per esempio quella voce, frase, metafora, diventa usuale e comune, non è piú elegante. Quanti esempi di fatto si potrebbero addurre in questo particolare, mediante l’attenta considerazione delle lingue. Per noi italiani è grandissima fonte di eleganza l’uso di voci o modi latini, presi nuovamente da quella lingua, in modo che sieno pellegrini; ma non però eccessivi né come pellegrini, cioè per la forma troppo strana ec. ec., né come troppo frequenti latinismi. Ora, infinite parole latine e modi, de’ quali gli antichi scrittori arricchirono la nostra lingua, introducendo il pellegrino ne’ loro scritti, essendo divenuti usuali e propri della lingua o scritta