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442 | pensieri | (1148-1149-1150) |
entrata, ch’é azione continua rispettivamente alla natura del ricevere, al ricevere frequentemente; azione che non importa ordine né regola, né determina il come né il quando né con quali intervalli si riceva.
Ed a questo proposito porterò un luogo di Plauto, dove Arpago venuto per pagare un debito (1149) del suo padrone, dice a Pseudolo, servo del creditore:
Tibi ego dem?
Risponde Pseudolo:
Mihi hercle vero, qui res rationesque heri Ballionis curo, argentum adcepto, expenso, et cui debet, dato. (Pseud. II, 2, vers. 31, seq.).
Ecco tre continuativi e nella loro piena forza e proprietà: adceptare da adceptus di adcipere, expensare da expensus di expendere e datare da datus di dare. Crediamo noi che Plauto abbia posti a caso questi tre verbi in fila, tutti d’una forma, in cambio de’ loro positivi? Ma qui stanno e debbono stare i continuativi in luogo de’ positivi, perché questi esprimono una semplice azione, laddove qui s’aveva a significare il costume di far quelle tali azioni. Datare alcuni dicono ch’é lo stesso che dare (indice a Plauto). Vedete come s’ingannino e sbaglino la proprietà dell’idioma latino. Il Forcellini lo chiama frequentativo di dare, e portando un passo di Plinio maggiore , Themison (medico) binas non amplius drachmas (di elleboro) datavit, spiega dare consuevit. Ma il costume à cosa continua, quando anche l’azione non è continua, e non già frequente, e la frequenza viceversa non importa costume. E quando Plauto in altro luogo (Mostell. III, 1, vers. 73) dice,
Tu solus, credo, foenore argentum datas; (1150) e Sidonio (lib.V, ep. 13), ne tum quidem domum laboriosos redire permittens, cum tributum annuum datavere, usano il continuativo in luogo del positivo, perché hanno a significare non il semplice atto di