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(968-969-970) | pensieri | 305 |
cuzioni. Con che non è possibile, o certo è difficilissimo, che voi giungiate a formarvi un’idea chiara, distinta ec. di quella precisa idea o mezza idea ec. espressa da quel tal segno. E perciò dico che i francesi non sono ordinariamente capaci di concepire le proprietà delle altre lingue, se non in maniera piú o meno oscura, ma che (969) sempre conservi qualche cosa di confuso e di non perfetto. Ciascuna lingua (lasciando ora le parole, delle quali la francese, sebbene inferiore anche in ciò ad altre lingue, tuttavia non è povera e in certi generi è ricca) ha certe forme, certi modi particolari e propri; che per l’una parte sono difficilissimi a trovare perfetta corrispondenza in altra lingua, per l’altra parte costituiscono il principal gusto di quell’idioma, sono le sue piú native proprietà, i distintivi piú caratteristici del suo genio, le grazie piú intime, recondite e piú sostanziali di quella favella. Nessuna lingua dunque è uno strumento cosí perfetto che possa servire bastantemente per concepire con perfezione le proprietà tutte e ciascuna di ciascun’altra lingua. Ma la cosa va in proporzione; e quella lingua ch’è piú povera d’inversioni (Staël loc. cit., p. 11, fine) chiusa in giro piú angusto (ib.), piú monotona (ib., p. 12, principio), piú timida, piú scarsa di ardiri, piú legata, piú serva di se stessa, meno arrendevole, meno libera, meno varia, piú strettamente conforme in ogni parte a se stessa, questa lingua, dico, è lo strumento meno atto, meno valido, piú insufficiente, piú grossolano, per elevarci alla cognizione delle altre lingue e delle loro particolarità.
Ché se ciò vale quanto al perfetto intendere, (970) molto piú quanto al perfetto gustare, che risulta dal senso intero e preciso e completo di qualità tanto piú numerose e tanto piú menome e sfuggevoli e tanto piú proprie ed intime e arcane e riposte e peculiari di quella tal lingua. Una lingua che, come confessa un francese (Thomas, il cui luogo ho riportato altrove),