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pensieri |
(852-853-854) |
Egli è evidente che quanto piú l’andamento di una lingua è naturale, semplice, facile e non capriccioso presso gli scrittori, (853) tanto piú si conforma al carattere della favella usuale e popolare; e che siccome queste qualità di una lingua la rendono piú o meno atta alla universalità, cosí anche alla detta conformità fra il parlato e lo scritto, conformità dalla quale di nuovo nasce una grande attitudine alla universalità. Perché la favella del popolo, sebbene immaginosa ordinariamente e in qualunque nazione, è però sempre semplice, piana, facile, o inclina sempre a queste qualità, ed alla naturalezza dell’ordine, e si allontana dal lavorato, dall’arbitrario, da tutto quello che deriva puramente dall’individuo o da una data classe d’individui e non dalla natura e delle cose e del popolo: natura che sebben diversa dalla ragione e molto piú varia e copiosa e rigogliosa della ragione, tuttavia presso a poco si rassomiglia da per tutto e in tutti i popoli. Onde il linguaggio comune di qualunque popolo, massime relativamente a quelle nazioni che appartengono ad una stessa classe, come le nazioni cólte di Europa e formano quasi una famiglia, un tal linguaggio (854), dich’io, per lo meno dentro i limiti di quella tal famiglia di nazioni, è sempre, per se medesimo e astraendo dalle circostanze particolari, adattato piú o meno alla universalità. Non cosí quello degli scrittori, i quali bene spesso allontanandosi a poco a poco dall’andamento popolare della loro lingua si allontanano altresí dal carattere universale. E cosí la lingua scritta di questa o quella nazione, prendendo a poco a poco un andamento proprio e qualità proprie e speciali, per questa proprietà e specialità si viene allontanando piú o meno dalla linea universalmente riconosciuta, ed allontana dalla universalità la loro lingua che vi era naturalmente adattata. Giacché, siccome la lingua della nazione influisce su quella dello scrittore, cosí anche la scritta sulla parlata.