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(782-783-784) pensieri 183

dinari, triviali, ristrettissimi, scarsissimi; e benché spesso, anzi per lo piú vecchissimi e canuti.

Conchiudo che la giudiziosa novità (e massime tutta quella che si può derivare dalle nostre stesse fonti), l’arruolare al nostro esercito  (783) nuove truppe, l’accrescere la nostra città di nuove cittadinanze, in luogo che pregiudichi per natura sua e quando si faccia nei debiti modi, alla purità della lingua, è anzi l’unico mezzo sufficiente di difesa, di far testa, di resistere alla irruzione della barbarie, la quale sovrasta inevitabilmente a tutte le lingue che, mentre il mondo e le cose e gli uomini e i suoi stessi parlatori camminano e avanzano, o certo si muovono, non vogliono piú o sono impedite di piú camminare né progredire né muoversi in verun lato o modo, e vogliono, o son forzate a volere (inutilmente), quella stabilità che non ebbero mai né avranno gli uomini e le cose umane, al cui servigio elle son destinate e al cui séguito le costringe in ogni modo la natura. Conchiudo che impedire alle lingue la giudiziosa e conveniente novità non è preservarle, ma tutt’uno col guidarle per mano e condannarle e strascinarle forzatamente alla barbarie (8-14 marzo 1821).  (784)


*    Da torvo parola italianissima e di Crusca, il Caro nell’Eneide (lib. II, dove parla del simulacro di Pallade) fece torvamente, parola che non si trova nel vocabolario. Ci può esser voce piú chiara, piú naturale e ad un tempo piú italiana di questa? Ma perché non istà scritta nella Crusca e perché a quegli accademici non piacque di porre la famosissima Eneide del Caro fra i testi, avendoci messo tanti libracci, però quella voce non si potrà usare? Questo lo dico per un esempio, ὡς ἐν τύπῳ. Del resto, questo è un derivato senza ardire nessuno e, sebbene anche di questa specie se ne danno infiniti e cosí anche giovano moltissimo alla lingua, sí per la moltitudine sí anche individualmente, nondimeno