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(753-754-755) pensieri 167

ferma, contra la natura delle cose, cosí è pregiudizievole e porta discapito il volerla riporre piú indietro che non bisogna e obbligarla a rifare quel cammino  (754) che avea già fatto dirittamente e debitamente; laddove bisogna riporla né piú né meno in quel luogo che conviene al tempo e alle circostanze, osservando solamente che questo luogo sia proprio suo e conveniente alla sua natura. Ma Frontone, in luogo di purificare la lingua, la volle antiquare, richiamando in uso parole e modi, per necessaria vicenda delle cose umane, dimenticati, ignorati e stantii, e fino come pare, l’antica ortografia, volendo quasi immedesimare, in dispetto della natura e del vero, il suo tempo coll’antico. Come che quei secoli che son passati e quelle mutazioni che sono accadute e nella lingua e in tutto quello che la modifica, dipendesse dalla volontà dell’uomo il fare che non fossero passati e non fossero accadute, e il cancellare tutto l’intervallo di tempo ed altro che sta fra il presente e l’antico. Né osservò che siccome la lingua cammina sempre, perch’ella segue le cose le quali sono istabilissime e variabilissime, cosí ogni secolo, anche il piú buono e casto, ha la sua lingua modificata in una maniera propria, la quale allora solo è cattiva,  (755) quando è contraria all’indole della lingua, scema o distrugge, 1°, la sua potenza e facoltà, 2°, la sua bellezza e bontà naturale e propria, àltera, perde, guasta la sua proprietà, la sua natura, il suo carattere, la sua essenziale struttura e forma ec. Fuori di questo, com’é altrettanto vano che dannoso e micidiale l’assunto d’impedire ch’ella si arricchisca, cosí è impossibile e dannoso l’impedire che si modifichi secondo i tempi e gli uomini e le cose, dalle quali la lingua dipende e per le quali è fatta, non per qualche ente immaginario, come la virtú o la giustizia ch’é immutabile o si suppone. E perché Cicerone non iscrisse come il vecchio Catone ec., non perciò resta ch’egli non sia, come in ordine a tutto il