(687-688-689) |
pensieri |
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mi pare che bisogni stare in somma guardia, tanto piú, quanto la inclinazione, lo spirito, l’andamento dei tempi essendo tutto geometrico, la lingua nostra corre presentissimo rischio di geometrizzarsi stabilmente e per sempre, di inaridirsi, di perdere ogni grazia nativa (ancorché conservi le parole e i modi, e scacci i barbarismi), di diventare unica come la francese, laddove ora ella si può chiamare un aggregato di piú lingue, ciascuna adattata al suo soggetto o anche a questo (688) e a quello scrittore; e cosí, divenuta impotente, in luogo di contenere virtualmente tutti gli stili (secondo la sua natura e quella di tutte le belle e naturali lingue, come le antiche, non puramente ragionevoli), ne contenga uno solo, cioè il linguaggio magrissimo ed asciuttissimo della ragione e delle scienze che si chiamano esatte e non sia veramente adattata se non a queste, che tale infatti ella va ad essere e lo possiamo vedere in ogni sorta di soggetti e fino nella poesia italiana moderna de’ volgari poeti. Come appunto è accaduto alla lingua francese, perché ancor ella da principio, ed innanzi all’Accademia, e massime al secolo di Luigi XIV, non era punto unica, ma l’indole sua primitiva e propria somigliava moltissimo all’indole della vera lingua italiana e delle antiche; era piena d’idiotismi e di belle e naturalissime irregolarità; piena di varietà; subordinatissima allo scrittore (notate questo, che forma la difficoltà dello scrivere, come pure dell’intendere la nostra lingua a differenza della francese) e suscettibile di prendere quella forma e quell’abito che il soggetto richiedesse o il carattere dello scrittore o che questi volesse darle; adattata (689) a diversissimi stili; piena di nerbo o di grazia, di verità, di proprietà, di evidenza, di espressione; coraggiosa; niente schiva degli ardiri com’è poi divenuta; parlante ai sensi ed alla immaginativa e non solamente, come oggi, all’intelletto (sebbene anche al solo intelletto può parlare la lingua