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424 pensieri (369-370-371)

potuto ottenere un fine che (370) mi premeva e perciò raddoppiarli impazientemente, sebbene altri mi consigliava di riposare, perché la dilazione non faceva alcun danno: ma io non poteva sostenere l’incertezza di una cosa che m’importava, laddove se non avessi dubitato non avrei avuto difficoltà di aspettare. E cosí la stessa mia impazienza poteva pregiudicare al fine, togliendomi il riposo necessario ec. Cosí nel comporre ec. Parimenti se tu devi compire una tale operazione in un dato spazio e temi di non riuscirvi, l’impazienza e la sollecitudine tua non cresce in ragione del bisogno, ma ben da vantaggio; e, s’è possibile, tu vieni a capo dell’opera prima del termine prefisso (1 dicembre 1820). Vedi p. 712, capoverso 2.


*    Alla p. 366, pensiero 1. Perciò coloro che deducono la necessità assoluta della religione dallo stato presente dell’uomo, e dalla sua miseria, nihil agunt, se non provano ancora che questo stato gli era destinato, e ch’egli vivendo cosí segue i suoi destini e l’ordine assoluto delle cose, non arbitrario. Perché anche gli animali, per esempio le formiche, le api, i castori, hanno fra loro tanta società quanto basta ai loro bisogni o comodi, e non per questo hanno Religione, o legge di sorta alcuna. Anche gli animali hanno un uso sufficientissimo di ragione, hanno il principio τοῦ λογισμοῦ, il principio di conoscenza innato in tutti gli esseri viventi, non già nel solo uomo; e non per questo se ne servono come l’uomo, né sono infelici. E non è provato che la società, quale ora è, sia lo stato naturale dell’uomo, (371) come per lo contrario è provato che l’uomo senza società non ha per natura o istinto nessuna idea di religione e non ne ha verun bisogno, tutti i suoi doveri non riguardando che se stesso, ed avendo il loro immobile fondamento nell’istinto che lo porta ad amarsi e conservarsi (2 dicembre 1820).