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(233-234-235) pensieri 331

spetto ai nostri simili, cosí anche rispetto agli altri animali, quando noi li vediamo soffrire. Che poi, oltre la bellezza, una grande e somma origine di compassione sia la differenza (234) del sesso, è cosa troppo evidente, quando anche l’amore non ci prenda nessuna parte. Per esempio, ci sono molte sventure reali e tuttavia ridicole, delle quali vedrete sempre ridere molto piú quella parte degli spettatori che è dello stesso sesso col paziente, di quello che faccia o sia disposta o inclinata a fare l’altra parte, massimamente se questa è composta di donne, perché l’uomo, com’é piú profondo nei suoi sentimenti, cosí è molto piú duro e brutale nelle sue insensibilità e irriflessioni. E questo, tanto nel caso della bellezza, quanto della bruttezza o mediocrità del paziente. Del resto è cosí vero che le piccole sventure dei non belli non ci commuovono quasi affatto, che bene spesso siamo inclinati a riderne.


*   Come la debolezza è un grande eccitamento alla compassione, anche rispetto ai non belli, cosí non è forse cosa tanto contraria alla compassione, quanto il veder l’impazienza del male, la malignità dello spirito pronto a schernire lo stesso o altro male o difetto in altrui, il cattivo umore, la collera di chi soffre. E pochissima o nessuna compassione può sperare chi non ha sortito dalla (235) natura o acquistato dalla disgrazia una dolcezza e mansuetudine di carattere, almeno apparente. E questo deve servir di regola ai poeti ed artisti nel formare i personaggi che si vogliono compassionevoli. Sebbene l’eroismo e il disprezzo del male che si soffre possa ancora produrre un buon effetto, contuttociò relativamente al muover la compassione non c’é miglior qualità della sopraddetta, qualità la quale io so per esperienza che si acquista quasi per forza coll’uso delle sventure, non ostante che naturalmente fossimo dominati dalla qualità contraria.