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(152-153) pensieri 259

S. Paolo, castigo corpus meum et in servitutem redigo. In fatti in un corpo debole non ha forza nessuna passione.


*   Altro è la forza altro la fecondità dell’immaginazione e l’una può stare senza l’altra. Forte era l’immaginazione di Omero e di Dante, feconda quella di Ovidio e dell’Ariosto. Cosa che bisogna ben distinguere quando si sente lodare un poeta o chicchessia per l’immaginazione. Quella facilmente rende l’uomo infelice per la profondità delle sensazioni, questa al contrario lo rallegra colla varietà e colla facilità di fermarsi sopra tutti gli oggetti e di abbandonarli, e conseguentemente colla copia delle distrazioni. E ne seguono diversissimi caratteri. Il primo grave, passionato, ordinariamente, ai nostri tempi, malinconico, profondo nel sentimento e nelle passioni, e tutto proprio a soffrir grandemente della vita; l’altro scherzevole, leggero, vagabondo, incostante nell’amore, bello spirito, incapace di forti e durevoli passioni e dolori d’animo, facile a consolarsi anche nelle piú grandi sventure ec. Riconoscete in questi due caratteri i verissimi ritratti di Dante e di Ovidio, e vedete come la differenza della loro poesia  (153) corrisponda appuntino alla differenza della vita. Osservate ancora in che diverso modo Dante ed Ovidio sentissero e portassero il loro esilio. Cosí una stessa facoltà dell’animo umano è madre di effetti contrarii, secondo le sue qualità che quasi la distinguono in due facoltà diverse. L’immaginazione profonda non credo che sia molto adattata al coraggio, rappresentando al vivo il pericolo, il dolore, ec. e tanto piú al vivo della riflessione, quanto questa racconta e quella dipinge. E io credo che l’immaginazione degli uomini valorosi, che non debbono esserne privi, perché l’entusiasmo è sempre compagno dell’immaginazione e deriva da lei, appartenga piú all’altro genere (5 luglio 1820).