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(60-61) pensieri 171

tato affatto da quel ch’era allora ec. Cosí negli anniversari. Ed io mi ricordo di aver con indicibile affetto aspettato e notato e scorso come sacro il giorno della settimana e poi del mese e poi dell’anno rispondente a quello dov’io provai per la prima volta un tócco di una carissima passione. Ragionevolezza, benché illusoria ma dolce, delle istituzioni, feste ec. civili ed ecclesiastiche in questo riguardo.


*   A ciò che ho detto in altro pensiero intorno all’eloquenza di chi parla di se stesso si può aggiungere e l’esempio continuo di Cicerone, che piglia nuove forze ogni volta che parla di se come fa tuttora, e quello di Lorenzino de’ Medici nella sua Apologia che Giordani crede il piú gran pezzo d’eloquenza italiana e non vinto da nessuno  (61) straniero. Ora questo è un’Apologia di se stesso. Ed è mirabile com’egli che scriveva per se e non poteva andar dietro alle sofisticherie abbia trasportata come un Atlante l’eloquenza greca e latina tutta nel suo scritto, dove la vedete viva e tal quale, e tuttavia vi par nativa e non punto traslatizia, con una disinvoltura negli artifizi piú fini dell’eloquenza insegnati e praticati ugualmente dagli antichi, una padronanza, negligenza ec. cosí nello stile e condotta, ordine ec. interno, come nell’esterno, cioè la lingua ec. inaffettatissima e tutta italiana nella costruzione ec., quando lo stile e la composizione e i modi anche particolari e tutto è latino e greco. E ciò mentre gli altri miserabili cinquecentisti, volendo seguire la stessa eloquenza e maestri ec., come il Casa, facevano quelle miserie di composizione, di stile, di lingua affettatissima e piú latina che italiana. Onde i due soli eloquenti del cinquecento sono Lorenzino qui e il Tasso qua e là per tutte le sue opere, che ambedue parlano sempre di se, e il Tasso piú dov’è piú eloquente e bello e nobile ec., cioè nelle lettere che sono il suo