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Era città piccola, ma forte per mura e per torri, e più ancora per l’indole bellicosa de’ popoli Taurini.
Ai tempi di Vitellio, quando i Baiavi e i Britanni, che teneano guernigione in Torino, levarono il campo, alcuni fuochi lasciati accesi misero in fiamme la città.
Più volte probabilmente, al tempo dei re barbari e dei duchi Longobardi, Torino, fatta campo di battaglia, ebbe a patire l’istessa sorte. E sebbene il fuoco essersi vegga sovente causa di migliorare e d’ampliar le strutture, e di convertire il legno in mattoni, i mattoni in pietre ed in marmi, tuttavia, perchè perite erano le arti che aveano, al tempo della grandezza romana, ingentilito la faccia del mondo, la città ne rimase deformata, non abbellita; e solo in epoca ignota si estese dal lato d’occidente per la lunghezza di due isolati, fin alla linea della metà di piazza Susina o Paesana. E ciò prima del secolo x, nel qual tempo il novello ingrandimento conteneva4 la chiesa di Sant’Andrea, la più bella che fosse allora in Torino, riedificata dal monaco Bruningo in capo della città, in mezzo alle case dei nobili5 (ora la Consolata).
Sul finire del secolo ix era il muro della città armato di densissime torri, e girava tutto all’intorno una comoda galleria, sopra la quale ergevansi forti opere di difesa.
Amolo, vescovo di Torino, avendo quistione coi cittadini, fu cacciato dalla propria sede, e durò tre