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La sera dello stesso giorno in una generale adunanza dei congiurati ch’ebbe luogo, e cui intervenne il cavaliere Ansaldi, tenente colonnello della brigata Savoia, si presero nuovi concerti, le cautele, specialmente ad impedire il disordine, si addoppiarono.
Il giorno appresso assai di buon’ora, il principe di Carignano, fatto venire a sè il Conte di Santarosa, parlò dapprima della necessità che restasse nell’arsenale un certo numero di truppa d’artiglieria, e venne quindi alle precauzioni, secondo lui da adottarsi, per guarentire il re da qualsivoglia pericolo. Era facile provvedere al primo obbietto; quanto al secondo Santarosa, come seppi da lui, diede risentita risposta: non cospirarsi se non che contro l’Austria e suoi fautori, essere fra’ congiurati i migliori e più fedeli amici di Vittorio Emanuele. — Ma Santarosa travide in quei detti un artifizio del principe per discoprire qual fosse il giorno stabilito, seppe schermirsi dalle scaltre di lui domande, e disse solo non essere quel giorno lontano. Ciò che resta ad aggiungere si è quello che più di tutto mi accuora. Nel punto in cui Carlo Alberto sembrava rassicurare i federati di sua adesione, avea già emanato ordini e disposto le cose in modo da rendere ineseguibile a Torino qualunque movimento, e probabilmente da far cader vittima di loro affetto alla patria Santarosa e Collegno; fatale contraddizione, che solo potrebbe spiegarsi con lanciare sul principe un’accusa di perfida simulazione; ma mi riesce meno acerbo ripetere di lui: Carlo Alberto voleva e non voleva.