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il colonnello marchese Carlo di San Marsano, primogenito del ministro degli esteri, già gli avea e caldamente parlato delle condizioni d’Italia, senza nascondergli la necessità della rivoluzione piemontese1.

Carlo di San Marsano era nato ad accelerare una impresa. Questo giovine che i suoi concittadini non apprezzavano abbastanza, da molti calunniato appunto perchè spregiatore di calunnia, accoppiava ad una affezione personale per Vittorio Emanuele, di cui era aiutante di campo, un alto sentimento di devozione alla patria ed un possente desiderio di gloria, obbietto perenne dei suoi pensieri. Abituato ad osservare le cose da un alto punto di vista, comprese d’un tratto la situazione della patria e si persuase esservi circostanze, nelle quali fa d’uopo servire i principi loro malgrado. Impresso nell’anima codesto principio, l’ardita sua mente ed il focoso carattere operarono il rimanente.

Giammai fu visto brillare cotanto quel nobile ardire, come nel sesto giorno di marzo. Le nostre disposizioni eran date: gli uomini che non avrebbero paventato di correre primi al segnale della rivoluzione ci erano noti: conoscevamo pur quelli che mai avrebbero rivolte le loro armi contro i nostri petti e quelli che ci avrebbero debolmente combattuto e seguito dopo un primo successo. Non restava se

  1. Fu il principe di Carignano primo ad introdurre tali discorsi col marchese Carlo di San Marsano: fu lui che nel primo di gennaio a corte, tratto in disparte il giovine colonnello, lo intertenne a lungo degli affari d’Italia, coll’interesse e coll’ardore di taluno che agogna sostenervi una parte importante.