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maggior inquietudine a coloro che pure tanto interesse aveano a stimarlo, si era la sua condotta verso il conte Grimaldi, primo precettore assegnatogli da Vittorio Emanuele, alla scelta del quale aveano applaudito tutti i buoni, ma che dopo tre anni d’inutili cure dovette abbandonare la corte1.

Dopo la rivoluzione di Napoli, sembrava che il principe di Carignano non fosse vissuto un istante senz’essere tormentato dalla sublime idea di diventare il grand’uomo dell’Italia moderna. Nè a caso dissi tormentato, imperocchè se quel pensiero allettava la sua fantasia, la pochezza dell’animo gli toglieva di potersi estollere all’importanza di quella parte che, legittima per le circostanze del paese, era a lui riserbata e non sapea rinvenire il coraggio necessario ad abbracciarla ed a sostenerla fermamente a traverso gli avvenimenti e gli ostacoli. Ed ecco spiegata la sua maniera di agire, spiegati quei subiti slanci d’italianismo che sbigottivano coll’apparente smodata energia gli uomini più devoti alla patria; e poscia quei momenti di profondo scoraggiamento

  1. Il conte Grimaldi, sfogando una volta l’animo suo con un amico, gli disse: «Guai al Piemonte se il Principe di Carignano sale un giorno al trono con un potere illimitato.» Grimaldi amava Carlo Alberto, ma molto più la sua patria Egli sperava di procurare il bene di entrambi, se riusciva, come diceva egli, a scolpire nel cuore del suo allievo qualche grande verità. Niun principe, io credo, dopo il duca di Borgogna, ebbe un precettore di maggiore sapienza e virtù. Candidamente cristiano, cittadino zelante, di costumi severi, ma di maniere amabili, ravvivate dai sali di uno spirito tutto suo particolare. Immatura morte lo rapi, ahi troppo presto! alla famiglia, agli amici. Buon Grimaldi, l’ingrato che amareggiò gli ultimi giorni di tua vita, non era degno di divenire il liberatore del suo paese!!