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XIX.
L’uomo che rappresenta lo stato di transizione tra la vecchia e la nuova letteratura è Metastasio. L’antica letteratura non essendo oramai più che forma cantabile e musicabile ha come ultima espressione il dramma in musica, dove non è più fine, ma mezzo, è melodia, e serve alla musica. Ma non vi si rassegna, e vuol conservare la sua importanza, rimanere letteratura. Quest’ultima forma della vecchia letteratura è Metastasio.
La sua vita si stende dal 1698 al 1782. Vincenzo Gravina che l’educò, a quel modo che richiamava lo studio delle leggi alle fonti romane illustrandole, e tentando una prima filosofia del dritto, voleva ritirare l’arte alla grega semplicità, purgandola della corruzione scientifica, e scrisse tragedie a modo di Sofocle, e tentò una teoria dell’arte che chiamò Ragion poetica. Il buon uomo vedea il male, ma non le sue cause e non i suoi rimedii. La semplicità è la forma della vera grandezza, di una grandezza inconscia e divenuta natura. Niente era più contrario al secolo manierato e pretensioso al di fuori, vacuo al di dentro. Per combattere il manierismo, Gravina soppresse il colorito e vi supplì con la copia delle sentenze morali e filosofiche. L’intenzione era buona; parea volesse dire: cose e non parole. Nè altra è la tendenza della sua Ragion poetica, dove il vero è rappresentato come sostanza dell’arte, e il vero ignudo, non condito in molli versi. Così, volendo esser semplice, riuscì arido. La teoria non era nuova, anzi era la vecchia teoria di Dante ringiovanita dal Tasso; ma parve nuova in un tempo che lo sforzo dell’ingegno era tutto intorno alla frase. Metastasio fu educato secondo queste