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vano cerchi, quali altre forme vivessero nel loro secolo e nella loro coscienza; ond’è che quel comico cade nel vuoto e rimane insipido. Al contrario il don Chisciotte è opera di eterna freschezza, perchè ivi lo spirito cavalleresco si dissolve nella immagine di una nuova società, che gli sta dirimpetto, e con la sua presenza lo rende comico. Il Tassoni volge in ridicolo anche le forme liriche petrarchesche e censura non solo il petrarchismo, ma esso il Petrarca. Parla in nome della semplicità, del buon senso, e del verisimile: gli ripugna tutto ciò che è raffinato e concettoso. Critica caduta nel vuoto, perchè quella semplicità di vita, quel sentimento del reale non era nel secolo; e nella sua coscienza era un’astrazione dell’intelletto; un buon gusto naturale, privo di un mondo plastico, in cui si potesse esplicare. Perciò tutti quelli che scrivono con semplicità e naturalezza, malgrado certe vivezze e certe grazie di stile, riescono insipidi, come il Tassoni e più tardi il Redi. Mancava loro la vita interiore, e l’esteriorità, in mezzo a cui stavano, era affatto insipida, quando non era pretensiosa. Del Tassoni sopravvive il ritratto del conte di Culagna.

Filosofo, poeta e bacchettone,
Che era fuor de’ perigli un Sacripante,
Ma ne’ perigli un pezzo di polmone.

Dico il ritratto, perchè nella rappresentazione è così sbiadito e insipido, come gli altri personaggi. Del Redi è rimasto il Bacco in Toscana, che ricorda le baccanti dell’Orfeo, e per brio e calore d’immaginazione, per naturalezza di movenze, per artificio di verso è di piacevole lettura.

Non solo la letteratura nelle sue forme e nel suo contenuto, ma è anche esaurita la vita religiosa, morale e politica, quantunque ce ne fosse una seria apparenza comandata e servile, via alla fortuna. La storia ha con-