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già un’anticipazione di quella scuola storica e realista che si sviluppò più tardi. Ma sono tendenze intellettuali, cioè puramente critiche in contraddizione con lo stato ancora fantastico dello spirito italiano e con la sua natura romanzesca e subbiettiva. Gli manca la forza di trasferirsi fuori di sè, non ha il divino obblio dell’Ariosto, non attinge la storia nel suo spirito e nella sua vita interiore, attinge appena il suo aspetto materiale e superficiale. Ciò che vive al di sotto, è lui stesso; cerca l’epico, e trova il lirico, cerca il vero o il reale, e genera il fantastico, cerca la storia, e s’incontra con la sua anima.
La Gerusalemme conquistata di aspetto più regolare e di un meccanismo più severo è un ultimo sforzo per effettuare un mondo poetico, dal quale egli sentiva esser rimasto molto lontano nella prima Gerusalemme. La base di questo mondo dovea essere la serietà di una vita presa dal vero, colta nella sua realtà storica e animata da spirito religioso. Rimase in lui un mondo puramente intenzionale, un presentimento di una nuova poesia, uno scheletro che rimpolpato e colorito e animato da vita interiore si chiamerà un giorno I Promessi Sposi.
Come in Dante, così nel Tasso questo mondo intenzionale penetrato in un fondo estraneo vi rimane appiccaticcio. Ci è qui come nel Petrarca un mondo non riconciliato di elementi vecchi e nuovi, gli uni che si trasformano, gli altri ancora in formazione. Il di fuori è assai ben congegnato e concorde; ma è una concordia meccanica e intellettuale, condotta a perfezione nella seconda Gerusalemme. Sotto a quel meccanismo senti il disorganismo, un principio di vita molto attivo nelle parti, che non giunge a formare una totalità armonica. Il fenomeno è stato avvertito dai critici, ai quali è parso che l’interesse sia maggiore negli episodii che nell’insieme, e questi episodii, Olinto e Sofronia, Rinaldo e Armida,