Pagina:Sonetti romaneschi VI.djvu/150

140 Sonetti del 1832

ER BON TAJJO.1

     Ho addimannato a ttanti ch’edè cquello
Ch’ha de mejjo chi mmarcia in pavonazzo.
Uno m’ha dditto2 che cquest’è er ciarvello;
Ma li prelati nun cce ll’hanno un c.....

     Un’antro disce, er core; ma er ciorcello3
De li prelati è rrobba de strapazzo.
Titta,4 er compare mio sta pe’ l’u......,
E cchi pparla accusì nun è un pupazzo.5

     Io, co’ lliscenza der compare mio,
Direbbe che lo stommico è er tesoro
Che li santi prelati hanno da Dio.

     Nu’ lo vedete, cristo!, che llavoro?
Cicco cqua, ccicco llà,6 sangue de bbio!,
Cuer che cc’è da magnà, mmagneno loro.

Terni, 8 novembre 1832.

  1. Per taglio qui s’intende l’uso de’ Romani di distinguere questa o quella parte di membra delle bestie da macello.
  2. [Forma oggi affatto fuor d’uso, e già molto invevcchiata anche al tempo del Belli, il qual l’adopera assai di rado, e, se non m’inganno, solamente ne’ sonetti de’ primi anni.]
  3. Presso a poco è lo stesso che la corata. V. [in questo volume] la nota... [5] del sonetto... [Li mariti (2), 6 nov. 32. E anche, nel vol. IV, la nota 7 del sonetto: San Vincenz’ ecc., 22 apr. 35.]
  4. [Bista, Giambattista.]
  5. [Fantoccio.]
  6. Cicco cicco è il verso che si fa a’ maiali per chiamarli. Quindi il proverbio: Cicco qua, cicco là, il porco s’ingrassa.