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le lettere 259


Maestri io non ne conosco a questa generazione; se non in quanto la sua curiosità e la sua cultura si eleva a comprendere tutte le lezioni più nobili e più interessanti della storia spirituale degli uomini.

In questo senso si è delineato una sorta di classicismo nuovo: che è più della cultura che dell’arte, e senza preferenze o esclusioni. È un desiderio vasto e disinteressato di conoscenza, che abbraccia gli antichi e i moderni, gli stranieri e i nostri, richiama in mezzo a noi Goethe e Shakespeare, Cervantes e Aristofane, il Mahabarata e il Kalevala; ci obbliga a cercare i nostri modelli e i nostri insegnamenti non in un solo di questi che ci sorgon da presso e ieri pareva quasi che ci occupassero con la persona troppo dell’orizzonte, ma in tutto quanto il passato d’Italia, in tutti i morti della nostra terra, autori della nostra razza. E accanto a Dante e al Machiavelli e al Vico, tornano fra noi l’Aretino e il Folengo, i cronisti anonimi, i trattatisti laboriosi, tutti quanti. Non ci sono distinzioni di valore o di personalità artistica; un dovere comune di accrescimento spirituale allinea sullo stesso piano le collezioni nella biblioteca, e i nomi e le citazioni nella memoria: poichè, in quanto all’arte, abbiamo già detto che questo classicismo non si dimostra direttamente. È troppo vasto ed eclettico per poter lasciare impronte particolari: e del resto l’età delle imitazioni e dei ricalchi stilistici è passata da un pezzo.

Anche in quelli dei nostri scrittori che lo inalzano come una bandiera, il classicismo lui un valore piuttosto morale e politico che letterario: è tradizionalismo, è religione della razza e del suo genio, è reazione volontaria, bisogno di