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coscienza letteraria di renato serra | xiii |
parole e dei modi che sempre m’ha afflitto: e come il sole, filtrandomi tra le grandi persiane verdi nella camera tacita, sui letti bianchi e sui muri cilestrini, par che mi bagni di frescura e di pace, così le amarezze e i rimpianti degli anni perduti, della dolce vita ch’io non so bere, dell’amore che non ebbi, dell’arte che non so, mi si tramutano qui in un piacevole incantamento di memorie serene, in un sapore di quieti desideri, in uno splendore di fantasmi molto grato — ch’io posso rimirare e fingere a mille a mille più nuovi, poichè nulla mi urge, nulla mi tocca da presso; tutto è indefinito, indistinto, tra il sonno e il sogno. Tutti uguali i giorni; e immobile l’ozio: e ogni azione, decisione, ogni battaglia lontana.
Ricordiamoci di questa data, 7 agosto 1905. È nato lo scrittore Renato Serra. Buttato ha via da sè ogni scoria professorale, ogni ambizione; è libero e nuovo finalmente. Gli studi sì, ma prima di tutto il suo occhio, e i suoi sensi, che vedano e godano.
Oh gli studi! Letture soltanto, o riletture («ma io non leggo: riunisco e rimastico»). Dopo due anni, ritornando su questo tema, ancora Maupassant, Boccaccio, Aristofane, Virgilio, Montaigne, Sainte-Beuve, Ariosto, Catullo, le reliquie della lirica greca, i toscani dal 3 al 500, nelle cose minori, Renan, Leopardi. Per cavarne argomento di analisi critiche? No. «Con questi soli credo che saprei vivere e morire: in agello cum libello. Quando ricerco le ragioni della mia preferenza con calma di critico, trovo un punto in cui il rationabile vien meno; scopro l’anima nuda. Li amo perchè son fatto per amarli: qui finisce la critica». E cominciano le mormorazioni degli altri, dei sicuri di sè, ai quali, in verità, Serra sempre si divertì a dar filo. «Già io, di critica seria, non ho mai conosciuto altro che la lettura