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dualismo. | 161 |
LA STORIA DI MARIO.
Non è vero forse che nell’ammirazione provata per un’artista s’infiltra sempre un sentimento di compianto? Non è vero forse che l’artista istesso, nel metter mano all’opera sua, si sente compreso da un’angoscia indefinita e si volge indietro pauroso, quasi a scongiurare un pericolo ignoto? Non è vero forse che egli ha bisogno di essere amato più degli altri uomini? Perchè nel gaio epicureismo dei novellatori trecentisti, nel superbo materialismo di Rabelais, nel dolce ed arguto sorriso di Lorenzo Sterne, nello scherzo blando di Béranger, perchè in tutto l’umorismo moderno, vi è qualche cosa di malinconico che vi colpisce? Perchè tutti questi uomini che dovrebbero avere la serenità olimpica, sono agitati, convulsi, infelici? Perchè anche nelle splendide aureole che circondano i nomi di Wolfango Goëthe, di Giacomo Leopardi, di Vittor Hugo, vi è un punto nero e doloroso? Non so: e l’occhio ansioso che ha scoperto in alto le miserie dei grandi, non osa chinarsi per misurare quella dei piccoli. Così gli umili gregari passano ignorati, sofferenti e confusi nella folla.