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152 | capitolo ventesimosettimo |
vidimo un paese con un alto castello, nè sapevamci qual fosse, finchè un villano ci ebbe istruiti, che quella era Crotone,117 città antichissima, e già principale in Italia. Cercando poi con maggior diligenza qual fosse il carattere di color che abitavano quella illustre città, ed a qual genere di traffico principalmente si dedicassero, dopo aver tanto perduto nelle continue guerre, il villan ci rispose: o viaggiatori miei cari, se mercadanti voi siete, cangiate consiglio, ed altro mestiere cercatevi per mantener la vita: se poi come uomini di più gentil costume sapete navigare costantemente in mezzo alle doppiezze, siate certi di trarne guadagno. In questa città non si onoran gli studj delle amene lettere, non si conosce eloquenza, nè frugalità, nè in tanti costumi acquistan con lode lo scopo loro, ma gli uomini, che costà vedrete, formano per vostro avviso due classi, di cui l’una inganna, l’altra è ingannata. Qui nessuno raccoglie i suoi figli perchè un che abbia eredi necessari non è introdotto nè a cene, nè a spettacoli, ma privo di tutte le dolcezze della vita va a nascondersi trammezzo alla feccia del volgo. Bensì ottengono i primi onori color che non hanno obbligazioni di parentado,118 e soli sono considerati guerrieri, valorosissimi, e financo dabbene. Vedrete insomma, diceva, un paese simile ad un terreno appestato, dove non altro vi ha che i cadaveri lacerati, e i corvi che li lacerano.
Eumolpione più savio di tutti noi diessi a pensare su questo nuovo sistema, e dichiarò che non gli dispiaceva un cotal modo di arricchirsi. Io mi credetti che il buon uomo poeticamente scherzasse, quand’egli soggiunse: Così avess’io teatro più comodo, ed abiti più sfarzosi, onde accattar fede alla mia impostura! io non indosserei più per Dio questa valigetta, e voi ben presto di molte ricchezze farei possessori!
Io gli promisi quanto fosse per chiedermi, perchè partecipando al mio furto accettasse la veste, e tutto-