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verso a Persio non piacque punto, ed egli benchè perpetuo imitatore d’Orazio, preferì un genere di verseggiare più armonico, più rotondo, e sovente così magnifico che si accosta alla maestà virgiliana. Ben so che questo per alcuni è difetto, prescrivendosi che il verso didascalico debba serpeggiare per terra. Ed io amo ancor io di vederlo qualche volta per terra, ma non così spesso, nè in forma di rettile, nè stramazzato, nè privo di tutta poetica fisonomia. Chi più tenue di Virgilio nelle Georgiche, e chi più molle, più fluido, più sonante nel tempo stesso? E pazienza ai versi zoppi nel didascalico: ma nell’eroico? e senza effetto, senza bisogno, senza ragione? Un cotale mi voleva un giorno persuadere dell’armonia imitativa di quel pentametro Catulliano: Troja virum, et virtutum omnium acerba cinis. Io corsi a cercare una corda per legarlo e tradurlo nell’ospedale.

Se da Orazio s’impara a beffarsi del vizio, da Persio ad amar la virtù, da Giovenale impareremo a sdegnarci contra il delitto: e di lui adesso dirò, poichè nell’argomento, a cui posi mano, mi parrebbe fallo il tacerne.

La colpa sotto la penna dello storico, del poeta, dell’oratore è una fonte abbondante d’idee altissime e generose. Quante belle forme d’indignazione non ha somministrato all’eloquenza di Tullio la rapacità di Verre, il delitto di Catilina, e a quella di Tacito la crudele politica di Tiberio? Di quante belle opere non andiamo noi debitori alla bile? Ella è stata la Musa di Giovenale e di Dante. La natura non avevane posto ne’ loro petti che le scintille. L’acciajo che le fece scoppiare furono le atroci pazzie di Domiziano, e l’ingiusta persecuzione de’ Fiorentini. Dappertutto i sentimenti degli scrittori prendono qualità dal governo sotto cui vivono, e certe caratteristiche distintive le quali pajono impresse dalla natura, non sono sovente che puro effetto delle circostanze politiche. La temperata dominazione d’Augusto escludeva dagli scritti quella collera e virulenza che vediam regnare nelle opere posteriori, e Giovenale alla corte di quel munifico protettor de’ talenti sarebbe stato forse ancor esso nulla più che un polito e subdolo cortigiano. All’epoca di Augusto sendo succeduta quella di Nerone e poi l’altra di Domiziano, l’eccesso della miseria pubblica e la totale dissoluzion de’ costumi inferocì gl’intelletti, e dal seno medesimo della più orribile servitù nacque la libertà degl’ingegni, e il bisogno di esser fieri, onde non essere conculcati.