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di giovenale 29

Del suo signore la Giunone invoca.1
Un terzo di costoro in man lo specchio
Tiene, armatura del passivo Ottone,2
Ch’egli portava con più boria e fasto
Che Turno l’asta d’Attore d’Aurunca;3
E in quello si mirava, quando in campo
Levar faceva li stendardi. È cosa
Degna che i nuovi annali e la moderna
Storia tramandi ai posteri, uno specchio
Di civil guerra fra i bagagli. Oh! certo
È da gran capitano uccider Galba,4
E lisciarsi la pelle; è gran costanza
Di sommo cittadin spinger l’ingorde
Brame del Palatino ai ricchi arredi
Dal campo di Bebriaco,5 e d’inzuppato
Pane coi diti inzavardarsi il muso!6
Tanto non fece mai nel suolo Assiro
Semiramide armata, ovver la mesta
Cleopatra sugli Aziaci navigli.
    Qui niun pudore in conversar, nessuna

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  1. [p. 148 modifica]Giuravano per Giunone soltanto le donne; come gli uomini per Giove.
  2. [p. 149 modifica]Ottone, settimo imperatore romano. Da giovane si era acquistato la grazia di Nerone per le sue mollezze e dissolutezze.
  3. [p. 149 modifica]Allude a questo passo dell’Eneide di Virgilio: validam vi corripit hastam, Actoris aurunci spolium. Lib. xii. 94.
  4. [p. 149 modifica]Ottone per giungere all’impero avea fatto assassinar Galba già molto vecchio e impotente per la gotta.
  5. [p. 149 modifica]Castello di Lombardia, ove i seguaci di Ottone furono vinti dai partigiani di Vitellio.
  6. [p. 149 modifica]Quin et faciem quotidie rasitare, ac pane madido linere consuetum; idque instituisse a prima lanugine, ne barbatus unquam esset. Svet. Oth. xii.