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276 | LA FERONIADE |
In quell’atto sedea, da meraviglia
390Tocco e piú da pietà, che fra le selve1
Meglio che in mezzo alle cittadi alberga,
S’appressò palpitando, e la giacente
Non conoscendo (ché a mortal pupilla
Difficil cosa è il ravvisar gli dei),
395Ma in lei della contrada argomentando
Una ninfa smarrita: O tu, chi sei2,
Chi sei (le disse), che sí care e belle
Hai le sembianze e dolor tanto in volto?
Per chi son queste lagrime? t’ha forse
400Priva il ciel della madre, o del fratello,
O dell’amato sposo? ché son questi
Certo i primi de’ mali onde sovente
Giove n’affligge. Ma, del tuo cordoglio
Qual si sia la cagion, prendi conforto,
405E pazïenza opponi alle sventure
Che ne mandano i numi: essi nemici
Nostri non son; ma col rigor talvolta
Correggono i piú cari. Alzati, o donna;
Vieni, e t’adagia nella mia capanna
410Che non è lungi; e le forze languenti
Ivi di qualche cibo e di riposo
Ristorerai. La mia consorte poscia
Di tutto l’uopo ti sarà cortese,
Ch’ella è prudente e degli afflitti amica;
415E qual figlia ambedue cara t’avremo.
Alle parole del villan pietoso
S’intenerí la diva, e in cor sentissi
La doglia mitigar, tanta fra’ boschi
Gentilezza trovando e cortesia.
420Levossi in piedi; ed ei le resse il fianco,
E la sostenne con la man callosa.
Nell’appressarsi, nel toccar ch’ei fece
Il divin vestimento, un brividío
Un palpito lo prese, un cotal misto
425Di rispetto, d’affetto e di paura,
Che parve uscir dei sensi, e su le labbra
La voce gli morí. Quindi il sentiero
Prese in ver la capanna, e il fido cane
Nel mezzo del cortil gli corse incontro:
- ↑ 390. che fra le selve ecc.: cfr. i vv. 22 e segg. p. 47.
- ↑ 396. O tu, chi sei... che... hai dolor tanto ecc.: Dante Inf. xxiii, 97: «Ma voi chi siete, a cui tanto distilla, Quant’io veggio, dolor giú per le guance?»
sparsa le chiome: cfr. la nota al v. 26, p. 3.