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242 | LA FERONIADE |
585Farlosi eterno! Semele ed Alcmena1
Eran poca vergogna all’onor mio,
E i due figli di Leda, e Ganimede2;
Ch’altra ancor ne s’aggiunge, e di malnati
Mi si fan piene le celesti mense.
590Ma inulta non andrò, se Giuno io sono;
Né tu senza castigo. Via di qua,
Via di qua, svergognata! E in questo dire
Il bianco braccio fieramente stese,
S’aggrandí, si scurò: gli occhi mandaro
595Due fiamme a guisa di baleni in mezzo
Di tenebrosa nube; e la grand’ira,
Che il senno ancor degl’immortali invola,
Quasi obbliar di diva e di reina
Le fe’ modi e costumi. E di rincontro
600Di Giove allor la dolorosa amante,
Che di rimorso trema e di rispetto,
Con basso ciglio e con incerto piede
Lagrimando partissi. Ella per monti
E per valli e per fiumi si dilunga,
605E sempre a tergo ha la tremenda Giuno,
Che con minacce e dure onte e rampogne
Stimola e incalza l’infelice. Ahi! dunque
Era da tanto un amoroso errore?
E già varcate avea le veliterne3
610Pendici e gli ardui sassi ove costrusse
Cora4 la sua città, Cora il fratello
Di Catillo e Tiburte; e non lontano
Era di Cinzia il sacro lago5 e il bosco,
Ove a Stige ritolto e della ninfa
615Egeria in cura, Ippolito6 traeva
Cangiato in Virbio la seconda vita.
Qui di Saturno l’adirata figlia
Sostenne i passi, e in balze aspre e deserte
Qui lasciò la meschina; e, desïosa
592. Temeraria silvana. E in questo dire
- ↑ 585. Semele: figlia di Cadmo e d’Ermione, che partorí a Giove Bacco. Cfr. Dante Inf. xxx, 1. — Alcmena: cfr. la nota al v. 507, p. 115.
- ↑ 587. i due figli ecc.: i due gemelli Castore e Polluce, che Leda, moglie di Tindaro re di Sparta, generò di Giove, trasformato in cigno. Cfr. Musog., v. 122 o Ariosto III, 50. — Ganimede: il coppiere di Giove.
- ↑ 609. Veliterne: di Velletri.
- ↑ 611. Cora (cfr. la nota al v. 9, p. 2) non fondò la moderna Cori, ma la ricostruí e le impose il suo nome. Cfr. Volpi Vetus Latium IV, 123.
- ↑ 613. il sacro lago: cfr. la nota al v. 455.
- ↑ 615. Ippolito, ucciso da cavalli infuriati per imprecazioni del padre Teseo, istigato malamente dalla matrigna Fedra, fu da Diana fatto risuscitare e, sotto il nome di Virbio, dato in custodia alla ninfa Egeria. Cfr. Virgilio En. VII, 765 e Ovidio Metam. XV, 497.
cfr. la nota al v. 199, p. 16.