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LA MUSOGONIA 115

     Del nèttare il ruscello i piè d’argento
     Fermare anch’esso per udir parea,
     E lungo l’immortal santissim’onda
     496Né fior l’aure agitavano né fronda.
Qual dell’alba discende il queto umore
     Sull’erbe sitibonde in piaggia aprica,
     Tal discese agli dei dolce sul core
     La rimembranza della gloria antica.
     Rammentò ciaschedun del suo valore1
     In quel duro certame la fatica.
     Polibote a Nettuno e gli Aloídi
     504Di gran vanto fur campo ai Latonídi.
Favellò del crudel Porfirïone,
     Alto scotendo la fulminea clava,
     L’indomato figliuol d’Anfitrïone2,
     E con superbo incesso il capo alzava.
     Ma delle Muse l’immortal canzone
     Te piú ch’altri, o Minerva, dilettava,
     Te che il primo recasti, o dea tremenda3,
     512Soccorso al padre nella pugna orrenda.
Né alle sacre cavalle, in mar tergesti
     I polverosi fianchi insanguinati,
     Né il gradito a gustar le conducesti


493. Il rivo dell’ambrosia i piè (C. ’21).

496. Nè fior l’aurette percotean nè fronda (C. ’21).

497-8. Qual suole dell’aurora il queto umore Su le fresche cader rose pudiche, (C. ’21).

500. delle glorie antiche. (C. ’21).

501-2. Rammentò ciaschedun l’ira e il furore Di quell’alto certame e le fatiche. (C. ’21).

504. Alla mente tornâr de’ Latonídi (C. ’21).

505-9. Ragionò del crudel Porfirïone, In man scotendo la famosa clava, Il figliuolo fatal d’Anfitrïone, E magnanimo e grande passeggiava. Ma delle dive (C. ’21).

    p. 3.

  1. «E veramente tutti gli Dei ebbero una gran faccenda in quella giornata, ed ognuno segnalò il suo valore. Nettuno mise a morte Polibote lanciandogli addosso un’isola dell’Egeo mentre fuggiva; Diana ed Apollo [Latonidi] disfecero Oto ed Efialte figli di Alceo [Aloidi]; Ercole. Porfirione... Io non ho accennati che questi». Mt.
  2. L’indomato ecc.: Ercole, figlio di Giove sotto le forme del marito di Alcmena, Anfitrione.
  3. Te che il primo ecc.: «Che Pallade andasse anch’ella con cavalli a battaglia, l’accenna Pindaro nell’Olimpica XIII, Sofocle nell’Edipo Col., v. 1124, e ce ne assicura Pausania, asserendo che esisteva un’ara in Atene dedicata a Pallade equestre. Ma niuno lo dice piú espressamente di Callimaco nel lavacro di Pallade. Ne riporterò l’intero passo da me imitato, servendomi della traduzione del Checozzi...: Fortia non Pallas perfundet membra priusquam Coeno sordentes terserit alipedes. Tum quoque cum bello decedens retulit arma Turpia dirorum sanguine Terrigenum Fumantes primum solvit temone iugales, Abluit et magni fontibus Oceani Pulvereum sudo-