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138 parte prima

seppe Mantica, suo conterraneo, che sarebbe stato anche lui un forte scrittore umorista se, nel breve corso della sua esistenza, la politica non lo avesse troppo presto distratto dalle lettere. Scrisse il Merlino i suoi libri per 55 lettori, che nomina uno per uno e divide in quattro categorie, imponendo a ciascuna di esse alcuni speciali obblighi in ricompensa del piacere loro procurato. Uno de’ suoi volumi, ancora tutti inediti, è detto: Miscellanea di varie cose sconnesse e piacevoli, «fatta per coloro che, avendo poco cervello, vogliono istruirsi sul modo più acconcio per perderlo interamente»; gli altri sono Memorie utili ed inutili ai posteri, ossia la vita di Giovanni Merlino del quondam Antonino di Reggio, principiata a 27 decembre 1789 e proseguita fino al 1850, composta di sette volumi. Vorrei poter citare per disteso il lungo Dialogo alla calabrese tra Domine Dio e Giovanni Merlino o il Conto con Domine Dio per dimostrare che umorista fosse il Merlino. Nell’attesa che gli eredi lo rendano a tutti noto pubblicando i volumi, rimando alla pubblicazione che il Mantica ha fatto di questi due impareggiabili Dialoghi, con la traduzione a fronte.

Questo, per la letteratura dialettale. Non scopre poi sul serio altro che ironia e satira l’Arcoleo negli scrittori italiani? Io penso a un certo Socrate immaginario d’un certo abbate del settecento; penso al Didimo chierico del Foscolo: ad alcune volate in prosa del Baretti; penso ai Promessi Sposi del Manzoni, tutto infuso di genuino umorismo;1 penso al Sant’Ambrogio del Giusti, vera poesia umoristica, unica forse tra le tante satiriche o sentimentali; penso a quei certi dialoghi e a quelle certe prosette del Leopardi; penso all’Asino e al Buco nel muro del Guerrazzi; penso al Fanfulla del D’Azeglio; penso a Carlo Bini; penso a


  1. Vedi nella seconda parte la dimostrazione dell’umorismo di don Abbondio, che all’Arcoleo sembra una figura ridicola o comica senz’altro.