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266 | pensieri e discorsi |
gedie e commedie. Voi vedete che comincia, cioè ricomincia ad averli; tuttavia non in quella copia e non sempre di quella sorta che ci vorrebbe. Tra voi è giusto che noi aspettiamo di vedere i nuovi scrittori e poeti. Chè non è bene si affermi e confermi un certo dissidio tra l’uffizio del poeta (chiamo così anche chi scrive in prosa ma con l’intento di farsi leggere da tutti) e il ministero dell’insegnante. L’antichità si figurò come maestro perfino il vecchio Aedo cieco; anche ad Andronico diede scolari fanciulli. In Italia fu lettore, non si sa di che, forse di teologia o forse di grammatica, probabilmente anche Dante Alighieri: è lettore ancora, e a lungo ci resti, Giosuè Carducci. E io ho veduto e udito sulla cattedra il poeta, e non mai mi pareva aver più maestà che allora. E quando leggeva l’Inferno dell’Alighieri, tale, di voce e di gesti e d’occhi, doveva essere Dante, quando leggeva l’Eneide:
Di quibus imperium est animarum umbraeque silentes
et Chaos et Phlegethon loca nocte silentia late...
La scuola, o giovani, vi presenterà, sia pure irrigiditi dalla disciplina, ma non sì che la loro anima non si riveli, prima vostri fratelli minori, poi vostri figlioli. La loro compagnia, grande e sempre varia, vi darà documenti e ispirazioni. L’aver sempre un pubblico avanti voi, v’invoglierà ad averne uno sempre più vasto. Il dover sempre parlare vi animerà a scrivere; e il dover parlare in modo di essere intesi e sentiti, v’insegnerà a scrivere in modo semplice e forte. E il riserbo che dovete mantenere sempre avanti ai fanciulli vostri scolari, diverrà, avanti il gran pubblico, quella verecondia che abbellisce ogni bellezza.