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152 | pensieri e discorsi |
in Roma, una sera bella tra tutte e un conversare più d’ogni altro memorabile. La sera del banchetto, ella ci disse: Altro che greco! si tratta di difendere il latino minacciato anch’esso, e come! E io pensai che tanto fosse come in un incendio gridare che bisogna salvare il primo piano e che perciò sì deve abbattere il pian terreno. E potevo anche aggiungere, venendo da lei, così autorevole, la proposta dell’abolizione, che lei, proprio lei, appiccava fuoco al pianterreno appunto per salvare il primo piano, il quale, s’intende, senza quell’incendio non avrebbe corso altri pericoli. Ma l’aggiunta sarebbe stata ingiusta, perchè è vero, pur troppo vero, che da molti, da troppi, si parla contro il greco e contro il latino. E contro l’antico italiano? contro Dante? Eh! io non vedrei davvero con quali ragioni si potesse difendere lo studio della Divina Comedia contro chi avesse costrette alla fuga l’Eneide e l’Iliade. Non sarà certo la teologia scolastica che le parerà i colpi degli utilitari; nè le otterrà grazia presso i pietosi della giovinezza la sua relativa facilità. Oh sì! Destinate due fanciulli, di pari ingegno e voglia, uno all’Iliade, l’altro alla Comedia: giungerà prima quello a intendere l’ira d’Achille, nel testo greco, attraverso il Curtius e lo Schenkl, che l’altro a seguire Dante nel suo viaggio dalla selva selvaggia alla divina foresta, e da questa all’empireo.
Un paradosso? No davvero. Piuttosto è una asserzione gratuita quella che il greco si apprenda difficilmente e che in realtà nelle nostre scuole non si apprenda. I principii trovano il giovinetto quasi sempre curioso, voglioso, animoso. Li impara, generalmente, bene, e li ricorda con una fedeltà mirabile.