Pagina:Ortiz - Per la storia della cultura italiana in Rumania.djvu/252

242

tesco, potè sentir nel cuore il medesimo strazio che dettò a Dante la commossa apostrofe all’Italia „di dolore ostello” e lamentar che l’aquila imperiale si fosse trasformata in un corvo; una simile coincidenza ci sarà più cara a rilevare di qualsiasi influsso che la letteratura italiana abbia potuto esercitare sui sentimenti e sull’arte del più antico poeta rumeno. Così i versi del vecchio boiero, come le parole dell’illustre storico contemporaneo, mostrali che Roma non muore, che non è mai morta nel cuore de’ suoi figli anche lontani, anche decaduti, anche ignari della loro origine nobilissima.

Verrà il giorno che in Italia la favilla, gelosamente conservata nei monasteri e nelle scuole di grammatica, divamperà fulgida in un incendio sublime e la luce se ne spanderà sui popoli più lontani e farà che Italiani e Rumeni si ritrovino, si riconoscano. Allora i lampadofori stenderanno lontano, sin dove l’occhio non arriva, la loro catena simbolica, e, da mani polacche e transilvane, i latini del Danubio riceveran quella fiamma di vita che mani italiane avevano — prime — accesa.

Solo in questo senso gl’italiani possono possono accettare (ringraziando) le gentili parole del Iorga, sicuri di non farsi belli dei meriti degli altri e di non meritar più la severa lezione che il Lessing volle da loro una volta1 ed è pur servita a qualcosa. Ma sarà tempo di tornare al Metastasio. Una delle canzonette più squisite, che, per giunta, unisce agli altri pregi comuni a tutte le cose metastasiane, una universalità di contenuto, che non poteva non contribuire alla sua diffusione, è senza dubbio quella notissima intitolata: La libertà:

Ricordate?

Grazie agl’inganni tuoi
     Alfin respiro o Nice,
     Alfin d’un infelice
     Ebber gli Dei pietà:
          Sento da’ lacci suoi,
     Sento che l’alma è sciolta;
     Non sogno questa volta,
     Non sogno libertà!



  1. Gotth. Ephr. Lessings, Fabeln, Leipzig, G. I. Göschen, 1897: Die Wespen (p. 11).