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il manzoni e vincenzo monti. 57

morto con lodi iperboliche, non farà buon viso alla nostra congettura; ed essa ripugna pure vivamente a me stesso, come ripugna, per dire il vero, ogni maniera o specie d’ingratitudine. Ma io non posso tacere che corsero parecchi anni, ne’ quali il Manzoni ed il Monti apparvero veramente come avversarii; la storia letteraria ha i suoi diritti, e, per quanto c’incresca vedere il Manzoni, che aveva egli stesso fatto grande abuso, ne’ primi suoi studii poetici, della mitologia, divenirci aperto derisore del Monti che volea mantenerla in onore, e colpirlo direttamente con l’Ode satirica intitolata: L’ira d’Apollo, ove, con nuova malizia, s’imita pure lo stile cancelleresco della Polizia austriaca, quale era adoprato allora da un poeta da strapazzo, Pietro Stoppani di Beroldinghen, e da un giornalista venduto, il Pezzi, grandi lodatori entrambi di Vincenzo Monti divenuto buon servitore dell’Austria, il Manzoni, che giovinetto avea molto ammirato e lodato, come sappiamo, il suo maestro Monti, divenuto amico di Ugo Foscolo, imparò forse da lui a giudicarne con minore indulgenza la condotta politica; e nella diminuzione di stima per l’uomo è assai

    quel mirabile libro. Desiderosi oltremodo di salutare il decano dei poeti allora viventi, Vincenzo Monti, n’andammo a Monza col Papadopoli. Trovammo il povero vecchio adagiato, o, per dir meglio, giacente in un seggiolone. Teneva gli occhiali inforcati sul naso, e leggicchiava non so qual commedia di Goldoni. Scorta sur un tavolino una copia dei Promessi Sposi, mio padre chiese al buon vecchio che ne pensasse, e quegli rispose aver provato alquanto fastidio nel leggere il primo capitolo, ma pur voler trapassare al secondo. Ne mostrò poi una bella lettera scrittagli dal Manzoni nell’inviargli in dono il suo libro.»