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36 | dell’istoria di verona |
conciamenti del Calfurnio non si potea senza nausea prendere in mano Catullo.
Ma consideriam brevemente il tenor dei versi. Come potea il dotto Catullo dar qui per indubitata e trita la fondazion di Verona da’ Cenomani, che ripugnava espressamente a Polibio, a Catone, a Cornelio Nepote, e a quella universal tradizione che possiam riconoscere in Plinio? Come potea contradire a se stesso sì espressamente, dove chiamando Lidio il nostro lago, sta per l’origine Etrusca? come potea così saggio poeta metter due versi che ci stanno a pigione e fuor d’ogni proposito? Non sono essi una continuazione del concetto ne’ precedenti espresso, o una di quelle parentesi che tutto giorno cadono ne’ discorsi, come sono gli esempi che per coonestargli vengono addotti, ma interrompono il favellare con cose che niuna legatura hanno col soggetto, nè col ragionamento che si fa: il che tanto più disdice in un dialogo, dove non vi è la libertà in ciò degli altri componimenti, ma si convien rispondere a proposito dell’istanza dal compagno fatta. Parla qui l’uscio d’un’impudica donna, e narrando le di lei sceleraggini, dee dir così: or non sol questo professa Brescia di sapere, e d’avere osservato dall’alto del suo colle; ma racconta ancora gli adulterj con Postumio e Cornelio da costei comessi. Ma secondo che ci vien ora fatto leggere in Catullo, l’uscio parla in questo modo: or non sol questo professa Brescia di sapere, e d’aver osservato dall’alto del suo colle; per la qual Brescia scorre il giallo Melone con placido