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inno a nettuno 17

valli, dei cavalieri dell’arte equestre: della quale Sofocle, Pausania nel libro VIII e, a quel che sembra, il nostro poeta, lo fanno inventore. Panfo ateniese, antichissimo scrittor d’inni, lo chiama, presso Pausania, ἵππον δοτῆρα, «dator dei cavalli»; e Pindaro nell’ode Olimpica XIII, δαμαῖον πατέρα, «padre domatore» e nella quarta Pitia, Ἵππαρχον che è quanto dire «principe de’ cavalli», o de’ cavalieri. Omero finge che Nettuno donasse a Peleo i cavalli che poi furono di Achille. Nestore nel libro XXIII della Iliade dice ad Antiloco:

     Άντίλοχ᾽, ἤτοι μέν σε νέον περ ἐόντ᾽ ἐφίλησαν
     Ζεύς τε, Ποσειδάων τε, καὶ ἱπποσύνας ἐδίδαξαν
     παντοίας.

          .... Al certo,
          benché garzon sii tu, Giove e Nettuno,
          Antiloco, t’amâro, e l’arti equestri
          t’insegnâr tutte.

E Menelao nello stesso libro, finito il combattimento equestre, impone ad Antiloco che giuri per Nettuno. Pindaro nella prima ode Olimpica dice che Nettuno

          Ἔδωκεν δίφρον χρύσεον, ἐν πτεροῖ-
          σίν τ᾽ ἀκάμαντας ἵππους

          ... Un cocchio d’oro a lui
          e cavalli donò d’ali indefesse,

parlando di Pelope: e nel fine dell’ode quinta chiama Ποσειδανίους, «nettunii», i cavalli di Psaumide camarineo, vincitore olimpico. Si volle ancora che alcuni cavalli fossero della razza di Nettuno.

     Quamvis saepe fuga versos ille egerit hostes,
     et patriam Epirum referat fortesque Mycenas,
     Neptunique ipsa deducat origine gentem:

G. Leopardi, Opere - viii