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612 esercitazioni filosofiche

que, traendo virtù dalle cagioni effettive onde derivano, a quelle si assomigliano, e secondo il vigore di quelle formano, e quasi (per così dire) sigillano o imprimono, la preiacente materia più o meno tenacemente. Come il pesco non solo dalla terra, ma più prossimamente dal suo seme, riceve la natural perfezzione, così il fico, il cavallo, il cervo: talchè la terra vicina, ove le piante nascono e si nutriscono, non è la lor materia prossima, quella dico di cui devono esser ammassate o composte, quella dalla quale sortiscono diversi temperamenti, onde sono più e meno duraci; ma essa terra è solo ricettacolo, ministra, del nascere e del nutrirsi, come l’utero negli animali; e perciò, benchè gli ulivi ed i fichi siano piantati nell’istessa terra, a i medesimi freddi e caldi, venti, pioggie età, hanno diversa varietà dalla propria semenza, non già dal luogo, come voi supponete. L’istesso a proporzione si dica de gli animali, etc.

6. Alla sesta, che non siate restato mai ben capace di questa trasmutazion sustanziale, io non so che farvi: so benissimo che pienamente da Peripatetici vien dichiarata, e dimostrata ancora con esperienze e con ragioni. Di grazia, dichiaratela vói in altro modo; e dovete assolutamente farlo, perchè chi scrive contra alcuna posizione, o pretende dar nove dottrine contra l’antiche, non basta che dica «Quelle non sono buone, io non l’intendo», ma con ragioni mostrar ove pecchino, e poi con fondamenti più saldi produr le nove. Io per me vi confesso che mi par talmente necessario, che nelle predette trasmutazioni sustanziali niente della precedente materia composto resti, che sia inintelligibile e repugnante il contrario. Nella corruzzione del legno che si converte in fiamme, ditemi, per cortesia, che cosa resta nelle fiamme del legno precedente? che cosa resta di fuoco nel cenere? di uomo ne i vermi? di terra nell'aria? e così di tutte l'altre cose che si corrompono, eccetto che un primo commune informe subietto, principio materiale a tutte le cose generabili, da cui debbano prodursi, già che il farsi del niente eccede il naturai potere. Che voi non abbiate per impossibile, un corpo rappresentarvisi sotto varii aspetti differenti assai per semplice trasposizion di parti, senza corruzzione generazione, e che simili metamorfosi si veggano tutto il giorno; se non parlate di mascherate over di mutazioni favolose di Proteo, in sogno però, di stravestimenti di Mercurio, di inorpellamenti incrostature, io per me non ne veggo, non ne ho viste, nè credo da vederne mai.1 Dovevate dir dove e quali sono, apportarne essempi altre certezze; le scienze hanno i suoi principii, e le ragioni non si contentano delle pure asserzioni. Eh volesse Iddio, Sig. Galileo mio, che (secondo l’opinion d’Anasagora) non fusse il corrompersi altro che un occultarsi, il nascere altro che un novello apparire, ed a voi fusse concesso dal cielo esser di ciò fausto annuncio a gli uomini,

  1. Nell’esemplare dell’edizione originale postillata da Galileo è richiamata l’attenzione sulle parole «se non parlate,... da vederne mai» con un segno marginale in figura di una mano, che è dovuto allo stesso Galileo. Cfr. pag. 577, nota 1, e pag. 602, nota 1.