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zese pseudo-antico; e il Cesarotti la adoprò francamente a rifar quei canti. Certamente Macpherson avria avuto a rallegrarsi d’esser così interpretato, e disse bene chi disse che Ossian bisognerebbe leggerlo nella versione del Cesarotti. Tutto vi è ricomposto, vestito di bella poesia, gonfia se si vuole, ma armoniosa; ben toccato il patetico: a volta ne escono quadretti che alcun classico non isdegnerebbe. Valga d’esempio questo, ove, piangendo la morte di Cuculino, ne descrive il figliuolo bambino.

Verrà coi vezzi teneri,
     Vedrà la madre in lacrime,
     E la cagione incognita
     Del pianto chiederà.
Alzerà gli occhi il semplice,
     E alla parete pendere
     Il brando formidabile
     Del genitor vedrà.
Vede il brando del padre.
— Quel brando e di chi è? — piange la madre.

Se non sapessimo che i poeti sogliono farsi de’ complimenti, stupiremmo all’udir l’Alfieri confessare che deve al Cesarotti l’aver imparato a far versi: versi che sono lontani a tiro d’occhio dal modo del Cesarotti. Fatto è che, pel solito andazzo dell’imitare, s’introdussero allora strane frasi nei nostri poeti: il figlio della spada, il signor dei brandi, la vergine della neve, i fiacchi figli del vento, la stridula voce della notte; e così, rotolar nella morte, impennar l’agile piede, metter l’ali al pugnare, il bianco petto gonfiarsi all’aura dei sospiri.... e nelle cose una sovrabbondanza d’immagini e traslati, viziosi particolareggiamenti, frivola anatomia del sentimento, e il predominio del lugubre e del fantastico. Non che nel Natale del Pellegrini e nel Bardo della selva nera del Monti, quest’influenza sentesi nel Foscolo e nel Leopardi, e in qualche vivente, che affettando originalità, non s’accorge di farsi scolaro del finto Ossian.

La traduzione del Cesarotti è accompagnata d’un saggio storico ed estetico, ove vuol provare l’autenticità del suo poeta, e conchiude che se non vuolsi chiamarlo Ossian, lo si chiami Orfeo, o figlio d’Apollo. L’Oinamora fu tradotta da Giovanni Torti. Le Tournear ne diede la versione in francese: in spagnuolo Ortez, in tedesco Denis ed Harold, ecc.

A chi volesse ridere della poca critica dei nostri nonni, suggeriremo sommessamente che nel 1862 a Parigi si stamparono da D’Assally, col titolo di Chevaliers poètes, delle pretese traduzioni di minnesingeri tedeschi; e il dotto critico Saint-Marc Girardin le onorò di gran lodi nella Revue des deux Mondes, e vi trovò bellezze superiori a Pindaro; e tutto era invenzione francese.