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vincenzo monti 113

non puoi prescindere senza dar campo a odiose illazioni. Fa a modo di chi ti ama davvero».

Il Foscolo, in difesa del Monti, avea scritto: — Non vi resta partito, o Italiani di qualunque setta voi siate, se non quest’uno di rispettarvi da voi; affinchè, s’altri v’opprime, non vi disprezzi». E soggiungeva: — Che non ha ella corrotto in Italia la peste della calunnia, e più che altrove in Milano? città accannita di sètte, le quali, intendendo sempre a guadagni di vili preminenze e di lucro,, hanno per arte imparato ad esagerare le colpe e dissimulare le doti degli avversarj. O monarchi, se desiderate aver più servi che cittadini, lasciate patente l’arena dei reciproci vituperj».

A chi poi, col più triviale de’ consigli, suggerivagli di lasciar dire, e che la verità viene chiara da sè, replicava: — Dovremo dunque sentirci onesti e vederci infami, e per sinistra modestia tacere?, e mentre altri s’apparecchia ad affigger l’ignominia anche ai nostri sepolcri, aspetteremo che la posterità ci giustifichi?»

I soliti amici riuscirono a gettar gelosie fra i due poeti, che per qualche dissenso letterario si bisticciarono, e ne nacque un basso alterco. Foscolo urlò: — Non ho amici, e non voglio averne»; e — Scriverò in modo che più d’uno farò ballare sopra un quattrino». Il Monti replicogli che avrebbe fatto ballar lui sopra la polvere de’ suoi Sepolcri. Sbollita l’ira dopo alcuni giorni, com’è delle anime elevate, Ugo gli diceva: — Discenderemo entrambi nel sepolcro, voi più lodato certamente, io forse più compianto, il vostro epitafio sarà un elogio; sul mio si leggerà che, nato e cresciuto fra triste passioni, ho serbata la mia penna vergine di menzogne». Il Monti sentiva che Ugo era il solo capace di disputargli il primato; colpa che difficilmente si perdona: e mentre reciprocamente avrebbero potuto giovarsi e nelle composizioni e negli atti, temperando la fierezza dell’uno colla arrendevolezza dell’altro, si astiarono o alla coperta o palesemente. Foscolo avea venerazione pel Monti e cercava ammansirlo; ma le inesorabili censure del Poligrafo allora ascoltate perchè giornale quasi unico, infistolivano queste ire; vi si mescolava la politica, e il Monti pretendeva che, essendo egli stato eletto poeta dall’imperatore, il criticar lui fosse un disapprovar l’imperatore, e farsi reo di lesa maestà. E fra altri, slanciava questo basso epigramma sull’Ajace: