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Di tebani concenti e venosini

Dicesi che Amfione edificasse le mura di Tebe col suono della sua cetra. Allude fors’anco a Pindaro, ei pure tebano. Orazio al quale il Parini, più che ad ogni altro, somiglia nelle sue odi, era di Venosa.


Ivi


Ed ecco in mezzo di ricinto ombroso
Sculto un sasso funebre . . . . .

Da’ cultori di tanto poeta singolare gratitudine merita l’avvocato Rocco Marliani, che a Erba, nello splendido ed elegante edifizio della sua villa Amalia, consacrò un monumento allo spirito dell’amico suo. La tomba è protetta da una macchia di lauri, e il sole cadente manda cogli ultimi suoi raggi sovr’essa la lung’ombra di un antico cipresso. Esce da un organo sotterraneo un suono melanconico, inaspettato dal passaggiere. Nel monumento v’è ’l busto in marmo del poeta, e nella lapide leggonsi scolpiti que’ suoi versi:

Qui ferma il passo, e attonito
Udrai del tuo Cantore
Le commosse reliquie
Sotto la terra argute sibilar.

E chi da quella collina volge l’occhio al lago di Pusiano, vede la terra (di Bosisio) ove nacque il Parini, e il vago Eupili (il lago anzidetto) ch’egli cantò, e dov’ei cercava conforto alle sue membra afflitte dalla infermità, e riposo all’animo suo, stanco della fortuna e del mondo.

Prefazione dell’Editore dei Sepolcri di Ugo Foscolo, ec. Brescia, 1808.