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Anno IX. Sabato, 5 Novembre 1910. Num. 45.


Giornale settimanale per le famiglie

IL BUON CUORE

Organo della SOCIETÀ AMICI DEL BENE

Bollettino dell’Associazione Nazionale per la difesa della fanciullezza abbandonata della Provvidenza Materna, della Provvidenza Baliatica e dell'Opera Pia Catena

E il tesor negato al fasto
Di superbe imbandigioni

Scorra amico all’umil tetto .....

ManzoniLa Risurrezione.

SI PUBBLICA A FAVORE DEI BENEFICATI della Società Amici del bene e dell'Asilo Convitto Infantile dei Ciechi
La nostra carità dev’essere un continuo beneficare, un beneficar tutti senza limite e senza eccezione.
RosminiOpere spirit., pag. 191.

Direzione ed Amministrazione presso la Tipografia Editrice L. F. COGLIATI, Corso Porta Romana, N. 17.




SOMMARIO:


Educazione ed Istruzione. —La morte di E. Dunant il fondatore della «Croce Rossa» ― *** Indegna gazzarra attorno al corpo di un Santo ― Scelta dello sposo.
Religione. —I santi e i morti — Vangelo della domenica terza dopo la Decollazione — Necrologio — Per l’Asilo Convitto Infantile dei Ciechi.
Società Amici del bene. —Elargizioni della settimana — Per la Provvidenza Materna — Francobolli usati.
Notiziario. —Necrologio settimanale — Diario.

Educazione ed Istruzione


La morte di E. Dunant

IL FONDATORE DELLA «CROCE ROSSA»



La sera del 24 giugno 1859, quando il fragore delle cannonate e lo strepito della fucilleria si spensero, mentre l’ombra avvolgeva le colline insanguinate di San Martino e di Solferino, un giovane turista ginevrino, che sorpreso dalla battaglia era rimasto tutto il giorno nelle vicinanze di Solferino, assistendo con l’animo sconvolto dall’orrore e dalla pietà alla spaventosa carneficina svoltasi intorno alla «Spia d’Italia», ridiscese solo soletto verso Castiglione. Nel silenzio solenne dei campi gemiti acuti, voci angosciate, imploranti la pietà d’un sorso d’acqua, si levano dai petti di migliaia di feriti invisibili abbandonati tra i solchi, dietro le siepi, nei fossi, dove erano caduti. Le scarse ambulanze militari non potevano bastare all’opera immane di raccogliere, visitare, medicare, operare circa trentamila feriti sparsi da San Martino a Guidizzolo. Era d’altronde la sorte comune dei feriti di quei tempi. Medici e infermieri militari, non protetti da alcuna legge di guerra e trattati da belligeranti al pari dei feriti, si spingevano innanzi sotto il fuoco nemico a raccogliere i caduti della lor parte, rischiando ad ogni momento la vita. Nè i luoghi dove si raccoglievano i feriti erano meglio salvaguardati; ogni nazione aveva bensì una bandiera particolare per designare gli ospedali e le ambulanze, ma nessuno era tenuto a conoscerla e a rispettare una legge d’umanità che non era affatto obbligatoria. E medici e infermieri potevano essere massacrati e tratti prigionieri come nemici presi con l’armi in mano.


I FERITI DI SOLFERINO.

A tutto questo pensava Enrico Dunant — del quale è stata annunziata ora la morte avvenuta a Heiden sul lago di Costanza — mentre scendeva da Solferino a Castiglione la notte del 24 giugno 1859. Fin dall’adolescenza Enrico Dunant s’era occupato di opere caritatevoli. Nato a Ginevra l’8 maggio 1828, discendente da una famiglia che aveva dati molti probi magistrati alla vecchia repubblica ginevrina, nipote del fisico Daniele Colladon — noto per i suoi studi sulla trasmissione del suono nell’acqua e per l’impiego dell’aria compressa nel traforo delle montagne — Enrico Dunant aveva ricevuto dalla madre, donna nobilissima e intelligentissima, insieme con una accurata educazione letteraria, certi principî di generosità e di bontà che dovevano rimanere indelebili nell’animo suo. D’animo generoso e cavalleresco, entusiasta delle idee umanitarie contenute nel Vangelo, egli aveva già fatta propria la causa dei miseri e degli oppressi. Aveva già pubblicato uno studio sugli schiavi nei paesi musulmani e negli Stati Uniti d’America, i vinti della pace, e s’era fatto fervido campione del pacifismo e della fratellanza universale, quando si trovò per caso — come dicemmo — ad essere testimone oculare della battaglia di Solferino, una delle più sanguinose che la storia moderna ricordi.

L’impressione d’orrore provata durante i combattimenti e nella notte, si rinnovò terribile l’indomani. Dovunque cadaveri, dovunque feriti orribilmente straziati dai proiettili, dalle baionette, stritolati dai cannoni spinti a corsa pazza attraverso ai campi, calpestati dai cavalli. Gli infermieri militari aiutati dai contadini trasportavano i feriti nei villaggi e nei borghi più vicini: Carpenedolo, Castel Goffredo, Medole, Guidizzolo ne riboccavano. A Castiglione era addirittura un inferno; migliaia di feriti s’erano trascinati a piedi a Castiglione o v’erano stati portati dal campo di battaglia con le barelle, coi muli, con le scarse vetture disponibili. L’ingombro era enorme; i feriti s’ammucchiavano dappertutto su strati sottili di paglia nelle Chiese, nelle scuole, nelle case e il personale sanitario mancava.


«LE MONSIEUR BLANC».

Quasi tutti i medici erano dovuti partire per Cavriana, gli infermieri scarseggiavano: i bravi abitanti di Casti-