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256 | Matteo Bandello |
Vv. 1-3. Stancar la lingua, cfr. Petrarca: «Stancar la penna», Canz., LXXIII, v. 91. — N’io, nè, nè mai io.
V. 5. Noti, è il precetto dantesco da noi già riportato nella nota al v. 32, Canzone LIX.
V. 7. Reminiscenza dantesca: «Che Dio ancor ne lodo e ne ringrazio», Inf., VIII, v. 60, e petrarchesca: «Et al Signor ch’i’ adoro e ch’i’ ringrazio», Canz., son. CCCLXIII, v. 12.
V. 11. Una sol dramma, una minima parte, confronta Dante: «Senz’essa non fermai peso di dramma», Purg., XXI, v. 99.
V. 15. Non chiero, arcaismo, non chieggo.
V. 20. Haggio, ho, altro arcaismo.
V. 27. Gir al segno, al cielo; già detto in canzone precedente, v. 53. Svolge in modo prolisso il concetto sobriamente espresso dal Petrarca in esordio, Canz., LXXII, vv. 1-9.
V. 31. Cara salma, peso, delle dolci faville. La rima è tolta dalla corrispondente canzone petrarchesca: «Vostra mercede, i’ sento in mezzo l’alma |. . . . . . . . . . | La qual ogni altra salma», Canz., LXXI, 76-78.
V. 48. M’infollìo, mi rese folle d’amore, m’invaghì; cfr. sonetto XV, v. 7.
V. 55. Qualitate e forma, si nobilita com’è detto più sopra, v. 45.
Vv. 62-63. Casse, prive di virtù.
V. 85. Dotte ed ispedite, al contrario della sua che, modestamente, sottintende incolta e tarda.
V. 89. Con l’altre due precedenti.
CLXXXIV.
Corollario alle tre Canzoni or ora vedute — come il son. LXXV del Petrarca che segue le Canzoni degli Occhi — questo sonetto dà la sintesi di tutte le lodi dette per gli occhi della Mencia.
Occhi sereni agli occhi miei che date
Quanta per occhi mai fu gioia o fia;
Occhi beati pien di leggiadria,
4Che quanti son chiari occhi ognor ombrate:
Begli occhi e amorosetti, occhi che fate
Felice chi vi mira, occhi, che pria