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166 | Matteo Bandello |
CIV.
Va di bel nuovo errando, di sede in sede, lontano dalla Mencia.
Lambro, che sì sovente udito m’hai
Solingo sospirar sulle tue rive,
E voi, fresch’ombre, alle stagioni estive,
4Ov’io già piansi e insieme ancor cantai:
Se vosco i’ stetti poscia ch’io lasciai
Del Mencio l’ombre e le bell’acque vive.
Or vado errando, e forz’è che mi prive
8D’ogni allegrezza, e viva sempre in guai.
Ove vi lascio, luoghi cari e fidi,
E veri testimon della mia fede,
11Che salda più si mostra d’ora in ora?
I’ m’allontano e per diversi lidi
Quantunque cangi or questa, or quella sede,
14Non si cangia l’ardor che m’arde e accora.
V. 1. Lambro, fiume della Lombardia, dove il Bandello visse a lungo, in ripetuti soggiorni.
CV.
Inizia con questo tutta una serie di sonetti coi quali ritesse, una volta ancora, l’elogio della Mencia. Essi sono analoghi a quelli già veduti in principio, sonetti V, VI, XII, ecc.
Se nei passati tempi spesso udivi,
Favoso Mencio, la divina lira
Di Titiro pastor, ch’ancora spira,
4Canti soavi, gloriosi e divi: