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108 | Matteo Bandello |
V. 4. Da me, da parte mia.
V. 7. Le Grazie, le tre Grazie o Cariti raffiguranti quanto v’ha di più bello e di più vago, sono in essa come rifatte con ogni grazia; allitterazione.
V. 11. Verso ben cadenzato.
V. 13. Febbre maligna, cfr. v. 5, son. XLVII.
V. 14. Benchè l’arco d’Amore s’allenti, e più non scocchi, la piaga altra volta fatta nel cuor del poeta, non si risana.
È questo un verso del Petrarca, v. 14, son. XC, ed. cit., p. 133, dove è così commentato: «L’amorosa piaga non si salda — sana preso in significato neutro — , perchè si allenti e manchi la bellezza in Laura, colla quale ella mi ferì». Questo verso fu preso per divisa dal buon re Renato d’Angiò dopo la morte di sua moglie Isabella di Lorena. E Bonaggiunta Urbiciani: Per lunga pena meo cor non si muta.
Caro fu pure al Bandello che lo usò altre due volte nei Canti XI; cfr. ed. cit., C. VI, e nelle Novelle, nov. II-37.
LV.
S’inizia con questo sonetto un piccolo gruppo di rime della lontananza. Da lungi ripensa la Mencia, la ridescrive nelle fattezze fisiche, che già conosciamo.
Dal terso or biondo, che polisce Amore,
Dal ciel di perla sovra gli archi teso,
Cui sotto duo zaffir sì m’hanno acceso.
4Che ’n cener s’è converso l’arso core:
Da schietto avorio, che spiegando fore
Fin’ostro è qui fra noi dal ciel disceso.
Da un fil di perle orientali steso
8Sotto coralli di natio colore:
Dal petto, ch’alabastro vivo mostra,
Con que’ duo pomi colti in paradiso,
11U’ vera castitate alberga ognora;
Da quella Donna, ahimè! son qui diviso.